Charlie è un martire, e io l'ho tradito

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13 gennaio - Santi Ðaminh Phạm Trọng Khảm, Giuse Phạm Trọng Tả, Luca Phạm Trọng Thìn, martiri in Vietnam

Di loro so pochissimo. Erano laici francescani di Quần Cống, che 156 anni fa rifiutarono di calpestare la croce e furono pertanto torturati e uccisi a Nam Đinh. Le periodiche persecuzioni ordinate dall'imperatore Tự Đức a lungo andare offrirono alla Francia un buon pretesto per invadere il Vietnam e costituire la colonia francese di Indocina. Luca, il più giovane, aveva quarant'anni ed era il figlio di Daminh (Domenico), che ne aveva un'ottantina.

I 117 martiri del Vietnam furono canonizzati in massa da Giovanni Paolo II - il più grande santificatore della storia - nel 1988. Nel martirologio complessivo scritto per l'occasione si legge che "il martirio fecondò la semina apostolica in questo lembo dell'Oriente". Sarà.

Io resto scettico. Per me ogni storia di martirio ne nasconde almeno una di tradimento. Se conosciamo i nomi dei martiri, non è tanto per il sangue che hanno versato, ma perché qualcuno è sopravvissuto per raccontarceli. Quel qualcuno, che condivide la fede del martire ma non il martirio, non può che essere un rinnegato - lapsi li chiamavano, ai tempi della Chiesa clandestina - qualcuno che evidentemente ha ceduto alle torture, ha sacrificato agli dei dell'Olimpo, ha consegnato i libri sacri, ha calpestato la croce e rinnegato il Vangelo. Per salvare la pelle. Naturalmente poi si è pentito; ha invidiato il destino glorioso dei martiri, e lo ha raccontato ai figli e ai nipoti: ma se non fosse sopravvissuto, di quei martiri gloriosi non ci resterebbe memoria. Nascosta dietro ogni vita di martire, c'è quella di dieci rinnegati, e il loro senso di colpa che spesso dà più colore e vividezza al racconto.

Ci ho ripensato domenica, dando un'occhiata come tutti agli oceanici funerali dei caduti di Charlie Hebdo. Definirli martiri della libertà di espressione non è una forzatura: erano perfettamente consapevoli del rischio (soprattutto dopo l'attentato di tre anni fa), e l'hanno corso fino alla fine. "Forse potrà suonare un po’ pomposo, ma preferisco morire in piedi che vivere in ginocchio", aveva dichiarato Charbonnier nel 2012, e ora no, non suona pomposo affatto. Ogni volta che in questi anni l'opinione pubblica, divisa e perplessa, gli suggeriva di calpestare la croce della libertà, Charlie reagiva alzandola più in alto. Sembra paradossale che questo avvenisse attraverso dei disegnini satirici, ma noi viviamo in un'epoca di paradossi: il volto di Maometto, che per gli islamici non si dovrebbe mostrare, su Charlie Hebdo era diventato l'icona della libertà occidentale di prendersi gioco di tutto, anche di un simbolo tanto caro a una minoranza religiosa. E attraverso dei disegnini buffi, Charlie ci ha posto la domanda: la tanto sacra libertà, fino a che punto siamo disposti a difenderla? Charb, Wolinski e gli altri con la vita, e noi?

Si è visto nell'occasione che non eravamo disposti poi a molto. Da qualche tempo lo Stato non forniva più una scorta, e Charb ne aveva una privata. Ora però è morto e possiamo onorarlo con un funerale immenso, venerarlo come martire. La sua coerenza, che ce lo rendeva un po' fastidioso da vivo, da lontano possiamo ammirarla meglio e raccontarla ai nipoti come esempio eroico: quanto a noi, siamo tutti Charlie, adesso, ma continueremo a usare una certa prudenza.

Ai tempi del primo attentato mi chiedevo chi fosse il più iconoclasta, tra l'islamista disposto a uccidere pur di non vedere disegnato il suo profeta, e il vignettista disposto a morire pur di farne la caricatura. Ancora oggi non saprei rispondere, ma forse la domanda è diventata un po' leziosa. Charb è vittima dell'integralismo islamico, ma come molti martiri è portatore di una coerenza assoluta, che noi sopravvissuti, noi lapsi, invidiamo e additiamo, ma non compreremmo mai davvero al prezzo della nostra pelle. Per prima cosa - come è stato da molti notato - il coraggio di ripubblicare certe vignette di Charlie non lo abbiamo. Non solo quelle anti-islamiche: anche le altre religioni monoteiste venivano irrise per par condicio. Quindi insomma siamo tutti Charlie, ma la vignetta natalizia (e tutto sommato affettuosa) in cui Gesù bambino sguscia aureolato dalle cosce della madre, quella forse no: siamo Charlie solo in un certo senso, in un certo momento, per un certo motivo. Preferiremmo anche in un qualche modo distinguerci da Calderoli che quando indossò la maglietta con Maometto era già a suo modo Charlie, ma sembrava così tanto un catastrofico cialtrone. 

Siamo tutti Charlie... ma in Italia la bestemmia è sanzionata dalla legge. Siamo tutti Charlie, ma un'altra legge sanziona l'incitamento all'odio razziale, e perfino Charlie almeno una volta dovette licenziare un redattore storico per una battuta antisemita. Molti che oggi sono Charlie fino a qualche giorno fa chiedevano nuove leggi che riconoscessero aggravanti omofobiche o sessiste. Insomma, siamo tutti Charlie, ma non significa che siamo tutti disposti a offendere il Papa, o gli ebrei, o l'Islam, o le donne, o i gay, o chiunque: è una libertà che spettava a Charlie incarnare, in un recinto neanche tanto dorato che ora un cospicuo contributo statale rafforzerà. Avremo, ed è un paradosso più francese di altri, la blasfemia di Stato: anche i francesi di fede ebraica dovranno pagare per difendere la rivista che raffigura la Torah su un rotolo di carta igienica; anche i francesi di fede islamica pagheranno perché possa uscire nelle edicole la rivista che, quando mostrare il volto del profeta diventò stucchevole, cominciò ad esibirne le natiche. Forse cominciamo a capire il senso di certi riti carnascialeschi che in epoca antica e medievale erano codificati dal potere tanto quanto quelli religiosi: in certe situazioni ridere (o sopportare le risa altrui) diventa a quanto pare obbligatorio. E anche un po' meno divertente, ma sospetto che nessuno si stia più divertendo da un pezzo.

La discussione sulla libertà di espressione e i suoi limiti è probabilmente inesauribile, e in questi giorni ha fruttato alcuni contributi davvero interessanti. Forse però andrebbe prima disinnescata, perché molti in buona fede sono convinti che la guerra prossima ventura possa scoppiare per due vignette. Gli editorialisti dai sessant'anni in su sono entusiasti - ma se davvero una guerra ci sarà, si combatterà come sempre per questioni economiche e demografiche: perché l'Europa non è riuscita a costruire una sua identità comunitaria ed è rimasta la terra di mezzo tra benessere occidentale, disperazione africana e caos medio-orientale, in balia di dinamiche migratorie che non riuscirebbe a contenere nemmeno se volesse. In mezzo a tutto questo, Charlie è il solito pretesto. Se Gavrilo Princip non avesse fatto fuori l'arciduca a Sarajevo, qualcun altro avrebbe sparato a qualcuno in qualche altra città. Se Charb e compagni avessero deciso di sospendere le vignette anti-islamiche, un francese di seconda generazione incazzato col mondo se la sarebbe presa con Houellebecq, o qualsiasi altro. Anche se potessimo e volessimo davvero comportarci in modo più sensibile nei confronti delle minoranze, non possiamo davvero impedirci di offenderle. Il mondo è diventato un cortile: ci sarà sempre qualcuno che estrae furtivo il dito medio e qualcuno che se la prende (non sono esperto di molte cose, ma di questa, fidatevi, sì). Discutiamo pure di cosa sia la libertà di espressione e dei suoi limiti, ma facciamolo semplicemente per chiarirci le idee - quanto alla guerra, se deve scoppiare, scoppierà: e mezz'ora dopo il primo combattimento, l'idea che si stia morendo per il diritto a disegnare Maometto ci sembrerà già un'ingenuità, una beata coglioneria di quei bei tempi di pace.

Dalla discussione possiamo stralciare facilmente tutti i contributi degli alfieri dello scontro di civiltà. Non perché la loro posizione non sia interessante: ma è talmente limpida che non necessita di ulteriori spiegazioni. Per Salvini e la Santanché l'unico diritto in discussione è quello di offendere l'Islam: per loro è una religione che incita all'odio, e quindi è giusto odiarla. Facile. Fallaci. Non è una posizione da sottovalutare: credo che molti si sentano Charlie soprattutto in questo senso. Per loro non si tratta di offendere il profeta per dimostrare che c'è libertà di espressione, ma di ammettere quel tanto di libertà di espressione sufficiente a offendere il profeta. Non un grammo di più. Tutto chiaro? Passiamo oltre.

Una volta rimossi gli anti-islamici, è possibile intravedere grosso modo due schieramenti. Da una parte ci sono gli alfieri di una libertà assoluta, a-storica; dall'altra si sta rinfoltendo il gruppetto di chi scuote la testa e dice no, Charlie sarà anche un martire, però... stava esagerando. Trovo suggestivo il fatto che da una parte si sia messo in pratica il governo francese, disposto a sovvenzionare da qui in poi il libero Charlie, e dall'altra parte qualche columnist dall'altra parte dell'Atlantico. Potrebbe essere una semplice coincidenza, ma anche il segno di quanto siano ancora e forse irreparabilmente diverse queste due concezioni della libertà, separatesi alla nascita durante le rivoluzioni di fine Settecento. Da una parte la Libertà francese: assoluta, centralizzata, garantita da una Dea Ragione intepretata da un'élite costituitasi Comitato di Salute Pubblica, e imposta dall'alto sui cittadini riconoscenti. Dall'altra una libertà sempre provvisoria, consuetudinaria, continuamente negoziata tra Stati, comunità etniche e religiose in perenne frizione tra loro (continua sul Post...)
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Tutti un po' più fanatici, domani

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Stéphane Charbonnier nel 2011, quando esplose la sede
di Charlie Hebdo. Oggi l'hanno ammazzato.
Stamattina tutti i vignettisti francesi che ancora riconoscevo sono stati uccisi, sul posto di lavoro, mentre difendevano un principio sul quale resto dubbioso - ma perdio, conoscevano il rischio e sono andati avanti fino alla fine. Se questo non è eroismo, non so cosa l'eroismo sia. Probabilmente su di loro nessuno sputacchierà dalla sua postazione internet le battutine ciniche che molti in questi tempo riservano per chiunque abbia ogni mattina più coraggio di quanto ne abbiamo noi in tutta la nostra vita. Io spesso sono scettico sull'eroismo, su quanto possa servire a una determinata causa - ma spero di essere ancora in grado di riconoscerlo quando lo vedo. Non so quanto Charb o Wolinski e gli altri fossero consapevoli che difendendo un punto d'onore si candidavano a diventare il casus belli di una guerra di religione europea: siccome non erano stupidi, e hanno avuto molte mattine per pensarci, credo che tutto sommato la cosa per loro andasse bene. Ora sono martiri della libertà di vignetta e di espressione, e adesso il problema passa a noi sopravviventi. Che facciamo?

Il buon proposito per il 2015, che ancora stamattina mi sembrava in un qualche modo plausibile: riporre in archivio l'antirenzismo spicciolo e l'antigrillismo ormai pleonastico, aprire le finestre; dare aria agli ambienti; studiarsi Piketty; concentrarsi su concetti nient'affatto nuovi ma colpevolmente snobbati come disparità sociale; prepararsi alla fine dell'eurozona come la conosciamo; metter la barra a sinistra a costo di navigare per un bel pezzo quasi solo.

Il 2015 che ci si prospetta ora somiglia più a un 2003 o a un 2004: si parlerà di eurabia e islamofascismo e islamofobia e antisemitismo, la Le Pen volerà nei sondaggi, Salvini esulterà e speculerà sulla morte di gente che da viva lo avrebbe spernacchiato a sangue, si litigherà nelle scuole e nelle case su una cosa per cui abbiamo litigato dieci anni fa e anche allora non servì a niente. Invece che tra ricchi e poveri litigheremo tra cattolici e no, islamici e no, e Huntington, ancora Huntington, quella roba che sapeva già allora di muffa.

Voi come fate a distinguere i fanatici su internet? Al giorno d'oggi è quasi un vantaggio evolutivo. Io ne seguo alcuni, giusto per tenermi in allenamento. Quello che mi rassicura è che in qualsiasi momento tu li vada a trovare stanno sempre scrivendo le stesse cose, alla stessa gente, linkando gli più o meno le stesse vignette che magari gli ha appena segnalato qualcuno a cui un anno fa loro stessi le avevano segnalate, e in questo modo si confortano tra loro. Possono essere filoisraeliani o antisemiti; non ha così importanza: quel che importa è la loro prassi quotidiana, monomaniacale. Io credo di non essere così; cerco in effetti di essere l'esatto opposto - il che magari non equivale alla normalità, ma a qualche altra sindrome. L'importante è che mi stanco. Mi è capitato spesso di prendermela coi miei simili per lo stesso limite - il solito problema per cui certi problemi passano di moda prima di essere risolti (il riscaldamento globale, Berlusconi). Ma anch'io sono un po' così in fin dei conti.

A volte è un limite ma sempre più sono propenso a considerarla una liberazione. L'ho pensata in un modo e poi mi sono stancato di pensarla così; l'ho pensata in tanti modi e ogni volta l'ho scritta - e appena scritta, e riletta, e apprezzata, mi sembrava già il momento di pensarla in un modo diverso. Ho riso per vignette che oggi mi farebbero ribrezzo e viceversa. Nel 2006, quando scoppiò il caso delle vignette, gestivo due blog. Su questo scrissi che forse non andavano ripubblicate, nell'altro furono furono pubblicate e non le cancellai. Poi successe qualche altra cosa e parlammo d'altro. Su un blog funziona così - sul blog di una persona normale, perlomeno. Sono superficiale? Un po' mi rincresce, ma è meglio che essere un fanatico. Chi è un fanatico? Chi è rimasto al 2006, o al 2001, o al 1989, e non schioda. Può aver cambiato anche un paio d'abiti nel frattempo, ma scrive le stesse cose, alla stessa gente, ridendo o incazzandosi per le stesse battute. Le stesse vignette.

Come andrà a finire? Non finisce mai, oppure se preferite c'è qualcosa che finisce tutti i giorni. Oggi finisce forse una certa idea di Europa come ponte tra il mondo ricco e il povero; chi voleva minarlo ha avuto tutto il tempo, mentre noi forse eravamo distratti. Finisce magari l'esiguo spazio rimasto per una critica da sinistra alla società in cui viviamo: se si va verso lo scontro una certa polarizzazione è inevitabile. Ci diranno - lo stanno già dicendo: o sei con le vignette o sei coi terroristi. Poi: o sei con le misure che prenderemo per difendere le vignette, o sei coi terroristi. O ti fai leggere le mail, o sei coi terroristi. O accetti di vivere in un determinato Occidente blindato, in cui incidentalmente le disparità sociali si vanno accentuando, o sei coi terroristi (dall'altra parte del tavolo i terroristi annuiscono, sono perfettamente d'accordo). È inteso che, dovendo difenderti, questo Occidente blindato non ti garantirà il benessere che garantiva ai tuoi genitori (era un'offerta lancio, un dumping colossale). D'altro canto la guerra creerà qualche posto di lavoro, e nel tempo libero potrai consolarti con le vignette satiriche su Maometto o Kim Jong-un. Spero naturalmente di sbagliarmi, e buon 2015 a tutti.
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Mica è colpa di Voltaire

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Ogni volta che si ripropone la farsa delle vignette maomettane va a finire che ne scrivo troppo, senza comunque riuscire a convincere nessuno, e quindi dovrei probabilmente smettere. D'altro canto qui lo spazio è illimitato, e uno sfogo in più uno in meno non cambia nulla. Qui di seguito alcuni appunti da uno psicodramma tutto occidentale. Perché alla fine io di questa cosa discuto soltanto con compagni di occidente, senza riuscire a capirli né a farmi capire.

1. *Oggi la faccia di Maometto, domani il mondo!*
Sembra che la prima reazione dell'occidentale medio, quando scopre su facebook o in tv che c'è da qualche parte un tabù (ad es., la raffigurazione di un profeta), sia calpestarlo, o inneggiare a chi lo calpesta. Perché? Perché è pericoloso. Perché una civiltà che ha un tabù è una civiltà minacciosa. Perché se rispettiamo il loro tabù, domani loro ci impediranno di guardare i film in televisione con i polpacci delle donne! Tutto questo ripetuto da centinaia di interlocutori tutti originali, tutti in buona fede convinti che coi musulmani funziona così: se li rispetti appena un poco, loro ti entrano in casa, ti bruciano i porno e instaurano la sharia su tua sorella. Non ci sono margini. Non c'è spazio. O noi calpestiamo i loro simboli, o loro calpesteranno i nostri, per cui bisogna darci dentro coi calcagni, presto! Ne va dell'occidente. Ne risulta un conflitto di due sharie speculari: loro, i cattivi con le barbe, vogliono costringerti a non vedere niente, tu invece ti costringi a vedere tutto, a ridere di tutto, anche quando tanto ridere non fa: pure di un tizio con la barba di cui mai ti è fregato nulla, finché non ti hanno spiegato che c'è una cultura in cui non sopportano che sia raffigurato. Se ti raccontassero domani che la stessa cultura ha il culto del membro virile, tu te lo strapperesti per dar loro un dispiacere.
Passi l'ignoranza coltivata di gente che confonde un miliardo di musulmani con qualche centimigliaio di talebani; ma l'idea che non si possa cedere neanche un millimetro, non si possa concedere neanche un po' di rispetto, altrimenti prima o poi quelli ci prendono tutto nasconde una fobia del nemico che a quasi dieci anni dalla guerra in Iraq regge insospettabilmente bene. Hai voglia a rammentare che gli invasori siamo noi, e che nessuno sta chiedendo la sharia sulle tv occidentali. No, ci sono manifestazioni con migliaia, pensate, migliaia di musulmani dall'altra parte del mare, e questa è evidentemente una minaccia. Non passeranno! Altre vignette sul barbuto, presto.

2. *Ma le vignette su Cristo si possono fare!*
La grande illusione della tolleranza: la reciprocità. Certo che tolleriamo i musulmani: gli facciamo costruire una moschea... appena loro fanno una chiesa. Dove si capisce che la nostra idea di Islam è un cristianesimo con un'insegna diversa appiccicata all'ultimo momento. Noi abbiamo le chiese, loro le moschee. Stessa cosa, no? Noi abbiamo Cristo, e ci facciamo le vignette, e quindi le vignette si possono fare anche su Maometto. Stop. Sembra L'Orlando Furioso, i Mori identici ai cristiani, cambiano solo i nomi e non sono nemmeno nomi moreschi. Dove la tolleranza consiste nel consentire a qualsiasi diverso di diventare uguale a noi. Noi raffiguriamo Cristo, dal medioevo: la sua raffigurazione in forma umana è alla radice del realismo occidentale. Voi no? Voi avevate una religione iconoclasta e avete sviluppato un'arte astratta e calligrafica? Sì, beh, non ce ne frega niente. Siamo noi che tolleriamo voi, nella misura in cui le vostre radici iconoclaste vanno rapidamente in discarica e voi vi mettete a ridere delle caricature del vostro profeta, anche alla svelta.

3. *Si deve mostrare tutto!*
Pur di dare addosso ai musulmani c'è gente disposta a giurare che in occidente si possa mostrare tutto, ridere di tutto. A me vengono milioni di esempi di cose che invece no, non si possono mostrare: che sono tabù riconosciuti, codificati, elevati a legge, difesi da sanzioni penali. Lasciamo stare il fatto che in Italia la blasfemia sia ancora reato (in Francia no); ma io non posso nemmeno fare una foto ai miei studenti: qualche anno fa potevo, adesso no. Non posso esporla da qualche parte. Men che meno metterla su internet. In televisione c'è un sacco di facce pixelate, ci avete fatto caso? Tutti i minorenni, e anche i maggiorenni se non acconsentono. Poi c'è un sacco di pornografia che in chiaro non è accessibile: perlomeno a me risulta, a voi no? Qualche sottospecie di snuff su youtube gira, ma appena se ne accorgono lo levano. Insomma ci sono delle censure e delle autocensure: esistono, ci viviamo dentro, molte non le riconosciamo tali perché non ci poniamo nemmeno il problema. Altre le applichiamo perché a partire da un certo momento in poi le consideriamo giuste (il divieto di fotografare minorenni a scuola). A questo elenco sterminato di cose non raffigurabili si potrebbe - per rispetto alla seconda religione in Italia, e nel mondo - aggiungere giusto la faccia barbuta di un profeta, ma questo no: è inammissibile. Sarebbe la fine dell'Occidente, e a Lepanto allora cosa abbiamo combattuto a fare? Bisogna mostrare tutto! Volti, chiappe, peli! Purché del profeta. I peli nostri in realtà non interessano a nessuno.

4. Voltaire! Gramsci! Altri nomi a caso!
Un tizio su facebook mi ha scritto che se Gramsci fosse vivo pubblicherebbe una vignetta antiislamica al giorno, perché era Gramsci, lo sanno tutti che Gramsci era così, no? Rimango sempre un po' perplesso dalla leggerezza con cui gente come Voltaire - un tizio abbastanza formale, almeno stando alle incisioni, sempre con la sua bella parrucca in ordine - viene arruolata per difendere qualsiasi disegnino o recita filodrammatica. Tutti a dare per scontato che lui, e quelli come lui, avrebbero applaudito qualsiasi scemenza, perché è satira, e la satira è giusta, non deve insegnare niente, non deve combattere nulla, la satira si fa per il gusto di farla: forse che ci si può togliere il diritto di scoreggiare su delle icone? Voltaire sarebbe morto per difendere la libera espressione del nostro meteorismo. E se non l'avesse fatto, fanculo anche Voltaire, fanculo Gramsci, ci resta il Bagaglino. Ah no cacchio l'hanno chiuso. E allora lo vedi che la nostra libertà occidentale ha i giorni contati?
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Sono tutti obbligati a tollerarci?

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Sono molto affezionato a Charlie Hebdo, un foglio satirico che forse mi ha insegnato più cose sulla Francia del serissimo Le Monde. Ammiro il coraggio dei suoi redattori, che a differenza di tanti anti-islamici da bar si sono sempre presi la responsabilità delle loro provocazioni, pagandone conseguenze molto concrete, quando un anno fa la loro sede andò a fuoco. E anche stavolta, come un anno fa, il loro Maometto mi ha fatto ridere.

Detto questo, vorrei cercare di spiegare perché ritengo che la scelta di Charlie Hebdo di continuare a pubblicare vignette sul profeta - per quanto legittima, e coraggiosa - sia inopportuna. Quando Charb, il direttore, ammonisce che  "Se si comincia a dire che non si può disegnare Maometto, in seguito non si potranno più disegnare i musulmani", indica un orizzonte che è semplicemente implausibile. Le manifestazioni di protesta inscenate nei giorni scorsi nei Paesi musulmani hanno coinvolto 'solo' alcune migliaia di persone: poche, confrontate con il miliardo di musulmani che ha semplicemente ignorato la cosa, e che in certi casi ha manifestato per motivi assai più seri - nel disinteresse dei nostri organi di stampa, che per un presidio anti-vignette si scomodano e per un corteo antigovernativo in Yemen no. In ogni caso, anche nei Paesi dove si è manifestato contro le satire maomettane, nessun governo ha appoggiato le proteste, e molti le hanno soffocate: in Pakistan la polizia ha sparato sui manifestanti e ne ha ucciso una decina o più. Se stavano protestando contro il nostro diritto occidentale di disegnare Maometto e burlarci di lui, possiamo dire che la polizia pakistana ha difeso il nostro diritto. Qualcuno ha voglia di festeggiare? (continua sull'Unita.it, H1t#145) (ora di là si commenta solo con facebook, o se preferite potete commentare qua).

Siamo liberi di disegnare qualsiasi cosa. Ma proprio questa libertà – teoricamente illimitata – mette in crisi una nozione fondamentale, senza la quale forse non riusciamo più a conoscere il mondo: il concetto di limite. Noi pretendiamo che non ci siano limiti alla nostra libertà: se qualcuno da qualche parte nel mondo non ci tollera, occorre costringerlo. Viceversa, noi non possiamo tollerare nessuna limitazione della nostra libertà. La satira deve ridere di tutto: se all’improvviso a quel “tutto” viene sottratta una sola unità (Maometto), il tutto frana all’improvviso e ci ritroviamo nella situazione opposta: non si può più raffigurare niente, non si può più ridere di niente.  Per Charb almeno le cose stanno così: si passa nel giro di una frase dal divieto di disegnare il profeta a quello di disegnare i suoi fedeli, “E poi non si potrà più disegnare cosa? I cani, i maiali? E poi? Gli esseri umani?” Eppure nessuno ha posto la questione in questi termini. Nessuno per ora ha proibito a nessuno di disegnare un musulmano, o un cane, o un maiale. Questa apocalisse della raffigurazione è l’angoscia che riempie il vuoto della nostra fantasia, che non sa più concepire un limite alla nostra libertà.
Torniamo a terra.  Nessuna libertà è illimitata. Ci sono sempre dei limiti storici e culturali, che ci sono imposti o che ci auto-imponiamo. Anche la televisione francese, una delle più libere del mondo, non trasmette film porno in chiaro. Magari in futuro succederà: ogni limite è tale perché è condiviso da una maggioranza che col tempo può dissolversi, o cambiare idea. Queste periodiche crisi delle vignette, che sarebbero ridicole se non facessero danni e morti, sono un banco di prova per l’umanità, che da qualche anno grazie a internet si ritrova a dover condividere una piazza comune, e ancora non sa bene come regolarsi. In una parte della piazza sono abituati a ridere di qualsiasi dio; in un’altra parte non la stanno prendendo bene, ma in ogni caso è chiaro che da qui in poi la piazza sarà una e una sola. Dovremo arrivare prima o poi a stabilire un minimo codice di comportamento. L’idea che va per la maggiore da noi è che tutti gli altri debbano tollerare la nostra libertà, anche a prezzo della loro vita. Mi dispiace, ma non mi sembra un’idea sostenibile.
Mi sembra più praticabile un sistema di tolleranze reciproche, in cui si accetta che ogni gruppo presente nella piazza abbia un margine di suscettibilità, un piccolo recinto sacro intorno ad alcune cose su cui sia inopportuno scherzare. Credo che sia anche l’unico sistema che ci tuteli, visto che in questa piazza non siamo la maggioranza – non lo siamo mai stati, e continuiamo a diminuire.http://leonardo.blogspot.com
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Libertà di rutto

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Quando quest'ultimo polverone nordafricano si sarà depositato - e si sta già depositando - qualcuno conterà le vittime e scoprirà che anche stavolta, come nel caso delle vignette del 2006, sono quasi tutte arabe, quasi tutte musulmane. Per dire, l'11 settembre insieme all'ambasciatore Christopher Stevens sono morti dieci agenti di sicurezza libici, che stavano cercando di difenderlo. Questo ovviamente per noi pubblico occidentale ha punta o poca importanza: gli africani sono comparse, il fatto che cadano come mosche non desta sorpresa. Per noi l'11 settembre è morto soprattutto un ambasciatore USA, un occidentale, un laico. Vittima dell'islamofascismo oscurantista che non consente alcun tipo di scherzo sul Profeta. E passi. Lasciamo pur perdere il carattere volutamente provocatorio del film che ha scatenato la reazione; prendiamo anche per buoni i titoli sparati che due giorni fa ci annunciavano rivolte in tutto il mondo islamico, quando alla fine si è trattato nella più parte dei casi di manifestazioni pacifiche. Ma non importa. Prendiamo pure per buona la tesi degli eredi della Fallaci, comprensibilmente ansiosi di intestarsi un'eredità che in libreria e in edicola vale ancora parecchio. Diamogli retta, per una volta, e ammettiamo finalmente che l'islamofascismo esiste e minaccia l'Europa, minaccia il mondo, e probabilmente l'universo...

...Però, a questo punto, bisognerebbe avere l'onestà di ammettere che fa soprattutto vittime nel mondo islamico. Quando sei anni fa un Ministro della Repubblica italiana si sbottonò una camicia in diretta per mostrare una vignetta anti-Maometto sulla maglietta della salute - sì, è successo - in Italia non ci fu nessun attentato; invece a Bengasi morì un po' di gente, durante una manifestazione che la polizia di Gheddafi represse alla sua maniera. Al nostro ministro (era Calderoli) nessuno torse un capello - sì, fu spinto a dimettersi, ma non perse certo la scorta.

Scrivo questo perché anche stavolta, come sei anni fa, mi sembra che la discussione sia un po' fuori fuoco. Ci si lamenta che la nostra occidentale libertà di espressione (sacrosanta) sia limitata, come se ci fosse da qualche parte un insopportabile codicillo medievale che ci impedirebbe di scherzare su Maometto. Ecco, no. Possiamo benissimo scherzare su Maometto, tanto quanto scherziamo su Gesù (entro certi limiti tuttora fissati dalla legge) e su altre divinità. Certo, se la cosa circola su internet può darsi che qualcuno s'incazzi e qualcun altro ci rimetta le penne, com'è successo a Stevens e alla sua scorta. Ma non è un rischio per noi. È un rischio per chi laggiù ci vive o ci lavora. Per noi no, noi siamo liberi di scherzare su tutto quello che non conosciamo. Siamo liberi. E irresponsabili, ovviamente. Se qualcuno nel terzo mondo si scanna per un film o una vignetta che abbiamo pubblicato noi, nessuno può attribuircene la colpa. Noi siamo al di sopra di tutto questo.

Ci sono motivi storici per cui siamo fatti così. In breve, i nostri antenati hanno inventato la modernità, lottando contro un oscurantismo non meno odioso di quello salafita, e conquistando a volte a prezzo della vita una cosa che per convenienza chiamiamo "libertà di pensiero". Certo, per loro era la libertà di sostenere che il sistema copernicano è più aderente alla realtà del tolomaico, o che il Terzo Stato era sfruttato dai primi due; era libertà di pensiero, appunto. Oggi sempre più la libertà sembra consistere nel poter scrivere Maometto Cacca. Più che libero pensiero mi sembra rutto libero, ma non importa; nessuno ce lo contesta; Oriana Fallaci ruttò quattro volumi di Maometto Cacca, la RCS fu ben lieta di pubblicarglieli, la gente li comprò, nessuna fatwa fu emessa - e sì che la vecchietta un po' ci sperava, in fondo tra cancro e fatwa anch'io non esiterei (non sono sicuro che oggi un volume sul concetto di Cristo Cacca venderebbe altrettanto bene, senza incorrere in sanzioni penali - ma non importa).

Nel mondo islamico l'illuminismo è arrivato tardi; forse deve ancora arrivare, quello che si coltiva nelle capitali è un modernismo di facciata, spalmato alla benemeglio su un intonaco che non vi si adatta. Magari è così. Se è così, varrebbe la pena di domandarsi se possiamo aiutarli in qualche modo. Non per altruismo: è nel nostro interesse che sviluppino una società civile laica. Come si può fare? Non lo so, ma so molto bene come *non* li si aiuta. Non li si aiuta sputando sui loro simboli, e il Profeta è il più importante. Perché, con voi funzionerebbe? Avete mai pensato di profanare un crocefisso per convincere un vostro amico cristiano che la sua fede è stupida? Non si tratta di psicologia né di sociologia, è una questione di spiccio buonsenso: le vignette o i film antislamici non combattono l'islam in nessun modo. Non è per questo che vengono fatti circolare. Quello che si ottiene, diffondendo satire antislamiche, è: irrigidimento, rabbia, manifestazioni di protesta, che quando fanno vittime le fanno quasi sempre dall'altra parte del Mediterraneo. Ovviamente nessuno ci impedisce di ruttare le nostre parodie. E nessuno ci riterrà responsabili del polverone che di nuovo si alzerà, e, quando si poserà, delle comparse che saranno cadute anche stavolta. Noi siamo liberi di fare quello che vogliamo, e se quello che vogliamo di solito è prendere in giro gente meno fortunata di noi, così sia.

Questa libertà, guai a chi ce la tocca. I nostri antenati hanno lottato per conquistarla, e noi la difenderemo col sangue e con le unghie dei contractors che pagheremo con soldi che stamperemo facendo debiti che intesteremo prima o poi a qualcuno. Siamo l'Occidente, tutto ci è dovuto.
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Nec minimo puella naso

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Attenzione: a causa di un flame epico, non tutti i commenti sono visibili in questa pagina. Per leggere gli ultimi bisogna cliccare sulla scritta "carica altro..." che compare sotto il modulo dei commenti (non è molto visibile, lo so). Alcuni dei primi commenti sono per il momento non disponibili, ma spero di riuscire a ripristinarli. Scusate il diagio.


E l'antisemitometro s'impenna
Un altro esempio, preso dal sito di un giornalista che a queste cose ci tiene moltissimo. Michele Dau è il vicesegretario generale del Consiglio Nazionale dell´Economia e del Lavoro. Qualche mese fa, leggendo la Guida del Touring su Israele, incoccia in questa definizione: nello Yad Vashem di Gerusalemme sarebbe «narrata la storia della Shoah dal punto di vista degli ebrei».
«Visitando la straordinaria, e unica al mondo, ricostruzione storica, mi sono domandato il significato di quell'affermazione – denuncia nella missiva inviata a Renzo Gattegna, presidente dell´Ucei – e la mia indignazione è cresciuta, senza poter trovare una giustificazione accettabile di quella sottolineatura. Cosa si intenderebbe evidenziare? Forse che vi sarebbero altri punti di vista sulla Shoah?»
In effetti, se uno scrive "dal punto di vista", sembra voler lasciare intendere che ne siano consentiti altri. Peccato che ciò sia, a quanto pare, antisemita:
«E quali sarebbero gli altri punti di vista in qualche modo accettabili? Forse quelli dei movimenti dei neonazisti che si sono affacciati in Europa? O forse si intende lasciare aperta la strada alle interpretazioni negazioniste che vorrebbero se non cancellare del tutto i fatti, quanto meno limitarli a quantità minima senza una vera decisione dei nazisti [...] Comunque si voglia leggere quella frase è davvero lesiva della dignità della sofferenza atroce di milioni di persone».
Non so se è chiaro: l'espressione "punto di vista degli ebrei" è qui dichiarata lesiva della dignità della sofferenza atroce. Come se sulla Shoah fosse consentito avere più punti di vista. No. È lesivo il solo affermarlo. Se io scrivo "il punto di vista", ammetto che possano essercene più di uno; se ammetto che ce ne sia più di uno, lascio implicitamente intendere che anche i negazionisti ne abbiano uno accettabile: se io consento ai negazionisti di averne uno accettabile, evidentemente sono i miei amici, e quindi io sono un antisemita. Non fa una grinza. Non resta che rassegnarsi: la Shoah non è un fenomeno come gli altri, suscettibile di osservazioni differenti da differenti punti di vista. Non si può avere differenti punti di vista sulla Shoah. Non si può nemmeno avere "il" punto di vista degli ebrei, perché anche l'uso dell'articolo determinativo non può escludere che ce ne possano essere altri, e il solo pensiero è psicoreato. La Shoah, per farla breve, non si può più osservare: va messa in un'Arca e nascosta con le tendine, e chi le solleva probabilmente resterà fulminato, ma se lo meritava, brutto antisemita.

Antisemiti moderni: l'odiosa caricatura di W. Allen, by Stuart Hample
Siamo nel 2012, Bin Laden è morto e la guerra in Iraq è finita. Prima che riparta lì nei pressi, ce la facciamo a metterci d'accordo su una definizione ragionevole di antisemitismo? Secondo me non è così difficile. È antisemita chi odia gli ebrei. Chi ritiene che siano coinvolti in un complotto mondiale per qualsivoglia fine. Il mondo ne è pieno (di antisemiti) e a dire il vero non è che facciano molto per dissimulare il loro antisemitismo. Chi nega la Shoah di solito è un antisemita. Chi la rivendica è sicuramente un antisemita. Fascisti e nazisti sono quasi sempre antisemiti. Non c'è bisogno di processare le loro intenzioni per accorgersene, di solito non te lo mandano a dire. Non c'è bisogno di sottolineare certe ambiguità nelle loro guide turistiche, né di misurare l'ampiezza e l'inclinazione del naso nelle loro vignette.

Antisemiti moderni: il ributtante abuso di luoghi comuni nel Fagin di Will Eisner,
la AntiDefamation League è stata informata?
Sostenere che Vauro sia antisemita, ribadire che lo sia perché ha disegnato il naso di Fiamma Nirenstein in un certo modo, è al di là dei confini seppure sfumati del ridicolo. Cioè, io posso anche capire che un fatto eccezionale come la Shoah vada preso con le molle, e che persino l'espressione "punto di vista" possa destare l'allarme di chi si allarma un po' per professione. Ma il volto (tutt'altro che sgradevole) di Fiamma Nirenstein non è un fatto altrettanto eccezionale. Non più del volto di Maometto, che come il suo pretendiamo raffigurabile: e se il disegno è una caricatura, il naso potrebbe anche risultare un po' più grosso del normale, senza scomodare il nazismo per questo. Sì, è vero, anche i nazisti facevano le caricature. E i cartoni animati. E Hitler era vegetariano. E non tutti i vegetariani sono nazisti; Biancaneve e i Sette Nani non è un film nazista anche se faceva piangere il fuehrer; e il problema che abbiamo col nazismo non è la passione per le caricature, comune a dire il vero con tantissime culture; bensì la assai più censurabile tendenza a sterminare interi popoli e minoranze in nome di concetti in cui non crediamo come la purezza etnica eccetera. Se poi la Nirenstein ritiene di poterci dire che le vignette di Vauro fanno parte di un progetto più vasto, che parte dal disegno di un naso e arriva di nuovo ai forni e ai camini, si merita semplicemente che le si rida in faccia, quella faccia dal naso non piccolo.

E che dire di questo, cioè, ebrei=ratti, una vergogna,
roba da degenerati, ciò si dovrebbe bruciare nelle piazze.
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Dove comincia il tuo naso?

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Non è una domanda retorica, sul serio, dove? Per colpa di Facci, e di Vauro, e di Peppino Caldarola, mi è capitato di passare alcuni preziosi minuti della mia vita a contemplare foto di Fiamma Nirenstein per capire che naso avesse veramente. Senza neanche riuscirci, peraltro.


Vi sembra un bel modo di prepararsi al Giorno della Memoria? A me non sembra un bel modo. Vauro e il naso di Fiamma si legge sulla nuova, fiammante, Unita.it, e si commenta laggiù, possibilmente senza fare troppo gli antisemiti che ci ho famiglia, grazie.

In occasione del dodicesimo Giorno della Memoria è scoppiata una polemica, su quotidiani e blog, a proposito di un naso, per la precisione il naso della deputata Fiamma Nirenstein. La cosa, benché abbastanza delirante, è meno buffa di quanto possa sembrare, anzi per certi versi è mortalmente seria. Ci sono anche 25000 euro in ballo. Cercherò di raccontarla senza offendere nessuno, ma credo sia difficilissimo (qui c’è un buon riassunto di Filippo Facci).
In principio ci fu una vignetta che Vauro Senesi pubblicò sul Manifesto il 13 febbraio 2008: si era in piena campagna elettorale e la filoisraeliana Nirenstein aveva annunciato che si sarebbe candidata con il Popolo della Libertà: lo stesso partito di postfascisti come Alemanno o Giorgia Meloni, o di semplici nostalgici come Ciarrapico. Vauro commenta la notizia disegnando il mostro Fiamma-Frankenstein, che riprende le fattezze della Nirenstein, e sul vestito porta tre simboli: la stella di David, il fascio littorio, e il logo del PdL. Non è senz’altro la vignetta meglio riuscita di Vauro, ma il significato sembra chiaro. Io, perlomeno, ci vedevo un’allegoria del PdL: un mostro composto con pezzi di corpi che non avevano nulla in comune: il fascismo e Israele.
La Nirenstein la comprese in un altro modo, e protestò indignata per  “l’immancabile attacco demonizzante e disumanizzante”, “piuttosto prevedibile nell’uso che fa degli stereotipi, gli stessi che portano a raffigurare i soldati israeliani con la stella di Davide e la svastica”. Insomma, Vauro l’aveva dipinta come un mostro col fascio littorio perché ebrea, fine. Sono polemiche e semplificazioni inevitabili durante una campagna elettorale. Otto mesi dopo, quando sia la Nirenstein che Ciarrapico sedevano già in Parlamento (e avevano già avuto modo di litigare), un giornalista già amico di Vauro, Peppino Caldarola,scrive un trafiletto satirico sul Riformista in cui immagina una riunione di redazione di Annozero. Tra le varie battute, nessuna particolarmente esilarante, scrive questa:
Vauro non accetta di censurare la vignetta, che ha fatto tanto ridere Gino Strada, in cui chiama Fiamma Nirenstein “sporca ebrea”. 
No, non fa ridere. Ma non meritava nemmeno una multa di 25.000 euro. Invece capita che Vauro decida di querelare Caldarola: lui infatti non ha mai chiamato Fiamma Nirenstein Sporca Eccetera. E su questo non ci piove, ma è abbastanza chiaro che Caldarola scherzava: nello stesso pezzo scriveva “Marco Travaglio non vuole tornare dalla Transilvania dove era andato a trovare suo nonno il conte Dracula”. Quattro anni dopo capita che un giudice dia ragione a Vauro e infligga a Caldarola e al suo ex direttore Polito una multa spropositata. Caldarola la prende male: sul suo blog scrive di preferire il carcere; ma soprattutto dimostra dopo quatto anni e un processo di non avere ancora capito il senso della vignetta.
Al punto che comincio a domandarmi se non ho capito male io. Per il giornalista la vignetta contiene due indizi di flagrante antisemitismo: la stella di David e il naso di Fiamma-Frankenstein. Sulla stella Caldarola non ha dubbi: “È il simbolo della malvagità nazista”. Per me era un semplice richiamo all’identità da sempre rivendicata dalla Nirenstein. Ovviamente non si può guardarlo e non pensare ai deportati, ma appunto: si può rivendicare la difesa di Israele e militare nello stesso partito di Ciarrapico e di Alessandra Mussolini?
Ma il vero problema è il naso. Quello disegnato da Vauro, scrive Caldarola, è adunco. Casomai lo ignorassimo, “il naso adunco è la tipica rappresentazione che si dà degli ebrei” nelle vignette antisemite. Ergo, Vauro è antisemita. Ora, basta confrontare una qualsiasi vignetta di accertato antisemitismo per notare una certa differenza: di solito la forma del naso assume dimensioni caricaturali. Viceversa, nella vignetta di Vauro le dimensioni del naso non risultano particolarmente esagerate.  La mia sensazione – ma a questo punto potrei sbagliarmi, per favore non mandatemi gli ispettori – è che Vauro non abbia particolarmente calcato la mano nel disegnare un naso che ha qualche somiglianza con quello della Nirenstein. È un disegnatore satirico, che ha a disposizione pochi tratti e un solo colore per rendere una fisionomia: se deve disegnare un nero lo colora di nero, è razzismo? Il suo Arafat aveva il labbro sporgente e sproporzionato, è islamofobia? Può essere interessante anche confrontare la sua vignetta con quelle che un altro autore satirico ha dedicato alla Nirenstein, Stefano Disegni: se non altro perché Disegni è uno dei disegnatori satirici meno caricaturisti in circolazione: eppure anche la sua Fiamma ha un naso simile, come mai? Forse è antisemita anche Disegni? Oppure quello è semplicemente il suo naso? La stessa idea è venuta a molti commentatori sul blog di Caldarola, che gli hanno scritto in sintesi: guarda che ti sbagli, guarda che Vauro lo ha disegnato così perché lei ha davvero un naso più o meno così. Lui ha reagito dando dell’antisemita a tutti quanti. Pare che sia sufficiente questo, nel 2012, per prendersi un’accusa di antisemitismo: manifestare un’opinione sul naso di Fiamma Nirenstein.
Al punto che – dopo aver visionato una ventina di foto, di tre quarti e di profilo – ho deciso di gettare la spugna. Non ho la minima idea di che forma abbia il naso di Fiamma Nirenstein, anche se mi piace raffigurarmela con un nasino alla francese. Però anche scrivendo così, lascio intendere che se la Nirenstein non avesse un naso alla francese, se avesse un naso un po’ più pronunciato, mi piacerebbe meno… allarme antisemitismo! No, meglio tornare all’affermazione precedente: non ho la minima idea di che naso abbia l’onorevole Nirenstein.  Mi dispiace che Caldarola in quattro anni non sia riuscito a capire una vignetta che a me tutto sommato sembrava semplice; mi dispiace che Vauro lo abbia querelato, proprio lui che dovrebbe saper riconoscere uno scherzo, anche di dubbio gusto. Mi piacerebbe vivere in un mondo migliore, dove fosse possibile scherzare un po’ su tutto, compreso le barbe di alcuni profeti e le forme dei nasi di alcuni gruppi etnici, ma evidentemente non è così, e non sta nemmeno migliorando. http://leonardo.blogspot.com

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La Madonna ti dà una mano

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Non sono soltanto i musulmani a non *apprezzare*, diciamo così, le immagini sacre: anche ai cristiani ogni tanto viene il sospetto che tutto questo traffico di icone e immaginette sia un filo idolatra. Abbiamo anche noi avuto le nostre fasi iconoclaste, specie ai tempi dell'Impero Bizantino, dove le dispute teologiche erano il secondo sport nazionale dopo la corsa delle bighe.


Comunque, proprio nel momento in cui a Costantinopoli gli iconoclasti sembravano trionfare, e ci si preparava a un Medioevo tutto astratto e geometrizzante come sull'altra sponda del mediterraneo, è venuto a salvarci un Dottore della Chiesa, Giovanni Damasceno. E volete sapere la cosa buffa? Damasceno sta per "di Damasco", sì, Giovanni in realtà era nato Mansour. Era un arabo, insomma. Molto devoto alla Madonna, che gli diede una mano. Non in senso figurato. Gliene avanzava una (contate bene le mani lì sopra). L'arabo che amava la Madonna, sive de iconoclasmo, è sul Post, decisamente l'unico magazine on line in cui potrete mai trovare Madonne con tre mani e Axl Rose nello stesso pezzo.

4 dicembre - San Giovanni Damasceno (676ca.-749ca.), dottore della Chiesa

Il calendario dei Santi è un oggetto infido. Certe settimane non sai più a che Santo votarti, non ce n'è uno che ti ispiri; poi magari in una grigia domenica di dicembre ti piazza due pezzi da novanta come Santa Barbara, patrona della folgore, degli artificieri e di una ridente contea californiana; e San Giovanni Damasceno, l'Ultimo dei Dottori dell'Est. La prima ha scalzato dal suo patronato nientemeno che Giove Pluvio, il secondo ha fatto crescere una mano alla Madonna. Non me ne voglia la Santa così esplosiva da essere divenuta sinonimo di arsenale, se scelgo il secondo che per una volta è un personaggio storico; però davvero Giovanni “tre mani” di Damasco presenta notevoli motivi d'interesse.

Per prima cosa, al secolo si chiamava Mansour Ibn Sarjun, e probabilmente era di etnia araba, in un momento in cui Damasco con tutta la Siria erano ormai definitivamente entrate a far parte del Califfato e del mondo islamico. Per cui la prossima volta che dal barbiere sentite dire che le moschee in Italia non è giusto farle perché gli arabi non ci lasciano fare le chiese là, poi potreste obiettare che “là” è un termine vago, che in Egitto ci sono chiese per almeno dieci milioni di cristiani, e che in Siria persino ai tempi degli antichi Califfi un arabo cristiano poteva mantenere un lignaggio di alto funzionario e produrre teologia ai massimi livelli, tant'è che Mansour-Giovanni di Damasco è il vero eroe dell'ultimo vero Concilio della Chiesa unita, con esponenti occidentali e orientali, il Niceno Secondo; a quel punto probabilmente nessuno oserà più obiettare, ma se ci provano voi aggiungete, perentori, che se non ci fossero stati i musulmani a proteggerlo, la mano sinistra Giovanni l'avrebbe persa davvero. Perché la leggenda dice che gliela fece tagliare il Califfo, sì, ma soltanto su istigazione dell'Imperatore cristiano di Costantinopoli, Leone III, che fece avere quest'ultimo dei documenti top secret in cui Mansour-Giovanni veniva descritto come uno dei capi di una fantomatica rivolta cristiana.

Iconoclasmi moderni. Lucio Fontana, Concetto spaziale: limiti
Tutte infamie, calunnie, illazioni; la verità – che filtra anche da una leggenda farlocca come questa – è che l'unico vero nemico di Giovanni era l'imperatore Leone III, l'iconoclasta che a partire dal 730 bandì e fece distruggere tutte le immagini di Cristo e dei Santi dalle chiese bizantine. Giovanni invece fu la voce più autorevole degli iconoduli, quelli che volevano continuare a venerare mosaici, affreschi e legni policromi. Sulle prime Leone sembrò averla vinta: aveva dalle sue non soltanto il potere militare, ma anche una certa insofferenza del popolo minuto nei confronti del clero e dei monaci, che di icone facevano già un grosso commercio. C'era poi da dare risposta a una sensazione diffusa: che il cristianesimo con le sue figurine fosse un po' la religione del passato, che la novità dell'ottavo secolo fosse questa nuova fede semplice, guerriera, minimale: l'Islam. Anche i musulmani erano iconoclasti, sin da quando Maometto aveva distrutto gli idoli presso la Ka'ba.


Ma in fondo Gesù non aveva fatto qualcosa di simile scacciando i mercanti dal tempio? E Mosè, fondendo il vitello d'oro e facendolo inghiottire ai suoi stolti adoratori? Non era forse scritto nel Libro dei Libri: non ti farai alcuna immagine [di Dio]? Per uno strano paradosso, dal momento che gli iconoclasti si presentavano come i nemici delle superstizioni, a fare di Leone III e di alcuni suoi successori degli iconoclasti fu un riflesso superstizioso: la tendenza a vedere nelle proprie disfatte militari, o nelle eruzioni dei vulcani, la reazione di un Dio irritato con tutti quelli che pretendevano di ritrarlo in figurine e adorare il legno o il marmo. Tutto questo mentre sull'altro lato del confine l'Islam iconoclasta fioriva e si espandeva, riempiendo il Medio Oriente e il Maghreb di arabeschi e intricate architetture astratte. Insomma, ci fu un momento tra ottavo e nono secolo in cui sembrava che il futuro del Mediterraneo sarebbe stato iconoclasta: anche Carlo Magno era tentato dal fare pulizia nei santuari (era anche un'ottima scusa per raccattare parecchio oro e preziosi), forse se i sovrani bizantini avessero tenuto duro avremmo avuto anche noi un Alto medioevo astratto e poligonale...

Nel frattempo, nel suo monastero nel deserto, Giovanni-Mansour preparava il contrattacco. (Continua...)

La mano fatta mozzare dal Califfo, vuole la leggenda, gliela fece ricrescere la Madonna, per la quale Giovanni aveva una devozione speciale (come teologo non teorizzò soltanto la sua verginità, ma anche quella della madre, Sant'Anna: così Maria si ritrova a essere vergine, figlia di vergine e madre di vergine, tutta una dinastia). Da un'icona della Madre di Dio, adeguatamente venerata, uscì una mano nuova che si andò ad attaccare al moncherino del Santo: è una leggenda, appunto, anche se molte icone orientali mostrano una Madonna con una mano in più che sembra uscire dal quadro. La verità è che mentre i preti iconoduli oppositori di Leone III venivano perseguitati e degradati, obbligati a passeggiare mano nella mano con una donna (punizione suprema!)... nel suo eremo in mezzo all'Islam, Giovanni era l'unico teologo in lingua greca libero di criticare Leone quanto voleva: agli islamici iconoclasti non doveva affatto dispiacere tenersi in casa l'eretico dei propri avversari. La sua risposta ai nemici delle icone è sottile: Giovanni chiarisce da subito che gli iconoduli non adorano la materia (il legno delle icone, il marmo delle statue), ma la venerano, sì, perché no? Dopotutto anche la materia è opera di Dio; non solo, ma è attraverso la materia che Dio, facendosi uomo, ha salvato i cristiani. “Non offendere dunque la materia: essa non è spregevole, perché niente di ciò che Dio ha fatto è spregevole”. Qui si capisce che non c'erano in gioco soltanto le rendite delle manifatture di icone e dei santuari forniti di reliquie. Siamo all'ultimo round di una lotta che è durata secoli, nel cristianesimo orientale, tra spregiatori della materia (gnostici, ariani, monofisiti) e rivalutatori della medesima. Le omelie di Giovanni, scritte in un Greco semplice (ma Mansour era un erudito coltissimo, oltre a un musicista e poeta raffinato) passano rapidamente il confine e infiammano il dibattito.


Alla fine, anche grazie a un'imperatrice affezionata alle sue icone di famiglia, l'iconoclastia sarà rigettata come eresia. Cinquant'anni più tardi un'altra sconfitta militare e un altro imperatore perplesso rimetteranno in gioco tutto quanto, ma ormai la strada è segnata: di là dal confine l'Islam diventerà sempre più iconoclasta e astratto (ben presto dopo Dio anche Maometto diventerà irraffigurabile); al di qua produrre icone diventerà sempre più redditizio: le icone foreranno la seconda dimensione, gli italiani scopriranno la prospettiva, nel Quattrocento si riapproprieranno delle forme della classicità... e così via, fino al realismo moderno, che forse non avrebbe messo il corpo umano al centro della scena, se mille anni prima Giovanni Damasceno non avesse intimato ai cristiani di non offendere la materia. Forse. Certo, di sussulti iconoclasti nella nostra Storia ce ne sono stati altri. Per esempio la riforma protestante, che sostituì la lettura e la meditazione della Bibbia alla venerazione per le immagini; per la verità in molti distretti di Francia e Germania i contadini iniziarono a mozzare le statue delle chiese prima ancora di imparare a leggere, segno che pure in questo caso Lutero non faceva che dare un volto a un'avversione condivisa. Insomma, è curioso, ma periodicamente la gente si stanca delle icone. Curioso ma fino a un certo punto, in fondo un certo tipo di iconoclastia popolare e istintiva esiste ancora oggi, anche se lo chiamiamo vandalismo. Ed esiste anche l'iconoclastia degli intellettuali: almeno fino a qualche anno fa “iconoclasta” era un complimento, specie quando si rivolgeva agli artisti. “Il suo talento iconoclasta”. “La sua furia iconoclasta”. Il culmine della modernità sembrava in effetti la distruzione delle icone – e quindi anche dell'arte in sé.


Oggi, anche se “iconoclasta” conserva ancora qualche residuale eleganza, mi pare che si apprezzi ancora di più il termine “icona”. L'icona della rivolta, l'icona del cambiamento, l'icona gay, la postmodernità sembra dedicarsi con sommo zelo alla produzione di icone. È un atteggiamento più pragmatico: artisti e comunicatori in fondo hanno accettato che anche la distruzione delle icone è un'icona. Axl Rose, per fare un dotto esempio, non è mai stato tanto idolo come quando sfoggiava la scritta Kill Your Idols. Prima non riconoscevamo più il sacro, ora siamo pronti a riconoscerlo in Lady Gaga. È il postmoderno. Ma mi domando se non sia anche una sorta di reazione alla civiltà iconoclasta che ci è cresciuta accanto: l'Islam. Nel medioevo ci ha dato l'aritmetica e l'arte calligrafica, trionfi di un atteggiamento 'astratto' nei confronti dei fenomeni. In seguito sembrava aver ceduto al materialismo dei coloni europei. Il moderno integralismo religioso coincide con una nuova stagione iconoclasta. I talebani si presentano al mondo facendo saltare due statue di Buddha, anche se il mondo per l'occasione lì degnò appena di qualche occhiata di sdegno. Andò diversamente sei mesi dopo: buttar giù le due torri di Babele del World Trade Center, quello sì fu il vero gesto iconoclasta.


Dunque è così, la guerra tra iconoclasti e iconoduli non è finita? Siamo ancora arruolati? Non lo so, credo che nemmeno Giovanni (Mansour) oggi sarebbe sicuro di capire da che parte siamo della barricata. Prendiamo il caso delle vignette. A un certo punto alcuni disegnatori europei si sono fatti un punto d'onore nel voler mostrare il volto di Maometto, infrangendo un divieto che non è nemmeno nel Corano ma che è ormai prassi da più di un millennio. In gioco cosa c'era esattamente? L'idea che qualsiasi raffigurazione, qualsiasi icona, in Occidente sia possibile. Il fatto che ci sia anche un solo volto, che per questioni delicate non si può mostrare, appare agli occidentali, iconoduli da più di mille anni, semplicemente scandaloso. Non solo si può mostrare tutto: tutto deve essere mostrato, altrimenti siamo fuori dalla civiltà. E tutto deve essere mostrato a scopo di potersene burlare: il volto di Maometto non può essere al di sopra di quell'autorità suprema che è la Satira Occidentale. Ora, fermo restando che per me ha sempre torto chi usa l'esplosivo, mi resta il dubbio su chi in questa situazione sia il vero iconoclasta: gli autori di Charlie Hebdo che reclamano il diritto a raffigurare e farsi gioco anche dell'immagine del Profeta, o gli integralisti che gli fanno saltare in aria la redazione? Più iconoclasta il libico che protesta contro la maglietta scema di Calderoli o il ministro Calderoli che in piena emergenza mondiale sul terrorismo islamico si sforza di offendere qualche musulmano con una maglietta scema? 


In fondo anche Charlie Hebdo era l'icona di un'istituzione sacra all'Occidente: la Satira o la Libertà di Espressione. Chi è il vero iconoclasta, l'integralista Osama che per lottare contro il Grande Satana non disdegnava di mostrare in video la sua figura ieratica, o il democratico Obama che dopo averlo dichiarato morto non ha voluto né divulgare foto, né indicare il luogo di sepoltura? La motivazione ufficiale è che non si voleva creare un monumento, o altri materiali per future icone. Del suo martirio di Osama non circolerà alcuna immagine: sul suo volto devastato dalla sparatoria Obama ha tirato una tendina, simile a quelle che usavano i pittori medievali per coprire il volto dell'irraffigurabile Maometto. C'è dell'ironia. E c'è dell'iconoclastia. Ma non si capisce da che parte del velo.

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Il vassoio era trattabile

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Nell'interesse nazionale
- Nel futuro prossimo, in un buio palazzo di Roma:

“Presidente, buongiorno, mi aveva chiamato?”
“Buongiorno, sì, è probabile, ma in questo momento non ho la minima idea di chi tu sia, scusa”.
“Sono un agente dell'intelligence del Ministero della Difesa, nome in codice...”
“...lascia perdere, tanto me lo dimenticherò tra un istante. Ma insomma, secondo te perché ti ho mandato a chiamare, non ti viene in mente un motivo...”
“Presidente, è Lei stesso ad avermi incaricato recentemente di svolgere una missione in Libia...”
“Io stesso? Faccio il ministro degli esteri, adesso?”
“No, Presidente, tecnicamente il ministro è Frattini”.
“Frat... ok, ho capito. Di cosa ti avrei incaricato, insomma?”
“Di prendere contatti riservati con la dirigenza del movimento di liberazione libico, che ormai controlla il novanta per cento del Paese”.
“Ah, ecco! Giusto! La Libia! Scusa, eh, ma al mattino ci metto un po' a ingranare. Senti, nome in codice... vabbe', chissenefrega. Se ho chiamato te, è perché nel momento in cui ti ho chiamato ero perfettamente in grado di intendere che tu sei il migliore uomo che abbiamo...”
“Beh, grazie, Presidente, in realtà io...”
“Perché la missione che stai per compiere è maledettamente complicata. Ora, quello che ti sto per dire non deve uscire da questi muri, intesi? Cala le braghe”.
“Qui, presidente?”
“Ma no, sciocco, intendevo in senso figurato. Cala le braghe, accetta qualsiasi richiesta ti chiederanno. Non possiamo assolutamente permetterci di perderla, la Libia. È fondamentale”.
“Sì, presidente, infatti mi aveva già...”
“Non è solo il petrolio. Ma comunque è anche quello. Con i rincari che ci sono in giro io non posso passare alla storia come quello che si è fatto soffiare il petrolio dietro casa. E poi c'è il discorso gas. Certo, abbiamo pur sempre quello di Putin...”
“Riguardo al gas, presidente...”
“Però, se poi domani casca Putin? Non si può mai sapere, mai. Anche Gheddafi sembrava immortale, e adesso guardalo. No, no, la Libia ci serve, costi quel che costi. Non tanto per gas e petrolio, quanto per il discorso respingimenti”.
“Beh, presidente, anche per quanto riguarda i respingimenti, io...”
“Che è una cosa fondamentale, capisci, tizio, l'Italia la governi se sei in grado di nascondere sotto il tappeto i problemi, e noi con Gheddafi avevamo fatto un affarone, gli mollavamo tutti i derelitti del mediterraneo, e lui li faceva sparire nel deserto che era un piacere. Un servizio così, chi ce lo farà più...”
“Ma vede, appunto...”
“Appunto, cala le braghe. Tutto quel che vogliono. Per dire, vogliono una moschea a Roma? Io gliela faccio anche a Roma, non guardo in faccia a nessuno”
“Presidente, in realtà, una moschea, a Roma...”
“Ratzinger s'incazza? E lascia che si scazzi, Ratzinger, mica mi fa il pieno di benzina, Ratzinger, mica se li può prendere Ratzinger i barconi. Senti, tu a questi nuovi colonnelli libici digli che se hanno figli in età giusta glieli faccio giocare in serie A, ma mica nel Perugia, stavolta, digli che li metto in rosa al Milan, non c'è veramente problema”.
“Presidente...”
“E buona fortuna, ché ne avrai bisogno”.
“Fortuna? Perché, presidente?”
“Ma che domande, per il viaggio che stai per fare, nella Libia sconvolta dalla guerra civile...”
“Ma io ci sono già stato in Libia, Presidente, sono tornato l'altro ieri”.
“Ah sì? Ma scusa, chi ti aveva briffato?”
“Ma lei, Presidente, la settimana scorsa. E mi aveva detto più o meno le stesse cose”.
“Di calare le braghe?”
“Non aveva usato proprio la stessa espressione, ma il senso era quello”.
“E quindi sei già tornato”.
“Sì, probabilmente lei mi ha fatto chiamare per sapere com'era andata. Anche se gliel'ho già spiegato ieri”.
“Ecco, bravo, com'è andata? Magari oggi sarò più attento di ieri, proviamo”.
“È andata molto bene”.
“Hai calato le braghe?”
“Ma non c'è stato davvero bisogno. Hanno un Paese da ricostruire e sono ansiosi di fare affari con noi, che restiamo un partner naturale. Certo, bisognerà essere discreti, perché la nazione è ancora percorsa da un fortissimo sentimento anti-italiano. Purché...”
“Quindi con petrolio e gas siamo a posto? Stesse tariffe?”
“Sarebbero anche disposti a un piccolo sconto, purché...”
“E i respingimenti?”
“Non vedono l'ora di diventare i nostri secondini, anche lì, sono dispostissimi a riaprire i campi di concentramento nel deserto a prezzi modici, purché...”
“Perché continui a dire purché?”
“C'è quella clausola, Presidente... ne avevamo parlato ieri...”
“E tu riparlamene. Potrà anche capitarmi di avere qualche vuoto di memoria, ogni tanto, alla mia età... con tutti i miei impegni... le preoccupazioni...”
“Insomma, Presidente, loro sono dispostissimi a fare affari con noi, ma prima di sedersi a un qualsiasi tavolo ufficiale vogliono una cosa. Una sola cosa... piccola... o grande, a seconda del punto di vista”.
“E cosa vorranno mai, questi beduini”.
“La testa di Calderoli su un vassoio d'argento”.
“La che?”
“Informalmente hanno ammesso che il vassoio d'argento è trattabile, probabilmente si accontenterebbero di un contenitore di plastica. Ma è fondamentale, è d'interesse vitale che contenga...”
“La testa di Calderoli, ma perché? Ma scusa, questi qui come fanno a conoscerlo, Calderoli?”
“Eh, è una lunga storia...”
“Faccio fatica a ricordarmelo io, Calderoli”.
“È il ministro della semplificazione normativa”.
“La semplifi... ho davvero inventato un ministero così?”
“Sembra di sì”.
“Sono davvero fighissimo. Ed è un leghista, no?”
“Sì, ecco, probabilmente lei ha dimenticato quel che successe nel 2006... prima delle elezioni in cui vinse Prodi”.
“Chi?”
“Vabbè, insomma, durante una trasmissione televisiva Calderoli, che a quel tempo era il Ministro per le Riforme, mostrò in diretta una maglietta con una caricatura del profeta Maometto. Come saprà per molti musulmani il volto del profeta non è raffigurabile. La scena fu trasmessa anche in Libia e generò dei moti spontanei di protesta contro le sedi diplomatiche italiane. In particolare, a Bengasi, davanti al nostro consolato, la polizia di Gheddafi sparò sulla folla dei manifestanti e fece una decina di morti. Era il diciassette febbraio”.
“Tutto qui? Vogliono la sua testa perché ha mostrato una maglietta?”
“Presidente, per loro l'episodio è diventato simbolico... una specie di piazza Tiennammen, la data era commemorata da tutti i dissidenti libici, che ogni anno si incontravano nella piazza del nostro consolato... e cinque anni dopo l'insurrezione contro Gheddafi è partita proprio da lì, dalla commemorazione del 17 febbraio, che con ogni probabilità diventerà la nuova festa nazionale. Insomma, Calderoli è diventato un simbolo per loro, e chi riuscirà a mostrare la sua testa su un vassoio, beh... avrà il consenso del 90% della popolazione per molti, moltissimi anni”.
“Una questione mediatica, insomma”.
“E chi meglio di lei potrebbe capire...”
“Capire posso anche capire, ma non sono mica un selvaggio, insomma, vogliono la testa? Mica gli posso dare una cosa così, voglio dire, che figura ci faccio?”
“Erano più o meno le sue obiezioni di ieri”.
“Cioè, capirei se parlassimo di un omicidio mirato... farebbe comodo anche a me, magari dare la colpa ad Al Qaeda, un po' di strategia della tensione sotto le elezioni...”
“Questa fu infatti la mia controproposta”.
“Bravo”.
“Non ne vogliono sapere. Non vogliono sembrare mandanti di terroristi, loro vogliono dimostrare che se chiedono una cosa la ottengono, quindi la testa o niente. Dicono che possono benissimo vendere il gas a qualcun altro. Magari è un bluff”.
“Perché io, insomma, nell'interesse nazionale, potrei anche capire... il sacrificio di un uomo per l'intera nazione... dovrei chiedere a Bossi, comunque”.
“Abbiamo già chiesto”.
“E che dice?”
“Non si capisce bene, ma sembra non abbia obiezioni articolate”.
“E certo, si libera un posto per la famiglia. Però che figura ci facciamo con l'elettorato... un beduino islamico ci chiede una testa e noi gliela diamo... non fa molto difesa dei sacri valori dell'Occidente... anche se... ma sei sicuro che non ci siano alternative? E se gli faccio una moschea a Roma?”
“Presidente, la moschea a Roma c'è già”.
“Ah sì?”
“Bella grande, anche”.
“Roba da matti, uno si sveglia un giorno e... Ma senti, al giorno d'oggi la chirurgia estetica fa miracoli. Nel senso che...”
“Ho capito, Presidente”.
“Lo dico così, sto pensando ad alta voce... prendiamo un pirla qualsiasi, un figurante di Forum con l'accento varesotto”.
“Calderoli è bergamasco”.
“Quel che è... gli cambiamo i connotati quanto basta, e in ventiquattr'ore potremmo avremmo un nuovo ministro della semplicità, lì”.
“Della semplificazione normativa”.
“Al posto dell'altro che spediamo ai libici nell'interesse nazionale. Che ne pensi?”
“Presidente, questa idea non mi è nuova, se non altro perché le è venuta identica ieri”.
“Sì? È un segno che è una buona idea”.
“E ieri non ho avuto il coraggio, ma oggi le faccio questa obiezione: scusi, eh, ma a questo punto non avremmo potuto dare il figurante con i connotati di Calderoli ai libici, e al ministero tenerci il Calderoli vero?”
“Ah già, buffo, non ci avevo pensato”.
“Neanche ieri”.
“E Bossi...”
“Non ci aveva pensato neanche lui”.
“Buffo davvero. Beh, sì, potremmo fare come dici tu, dopotutto è più semplice”.
“Temo che sia tardi, Presidente”.
“Ah sì?”
“Già”.
“E Bossi...”
“Non una piega”.
“Beh, allora siamo a posto, no?”
“Se la pensa così”.
“Probabilmente ti avevo chiamato per complimentarmi per l'esito della missione”.
“Grazie, Presidente”.
“Oppure, senti, visto che sei qui, potrei mandarti a fare un giretto nell'Asia centrale... in Afganistan diciamo. Potresti andare a sentire cosa vogliono quei beduini per lasciare in pace i nostri ragazzi? Mi raccomando...”
“Calo le braghe?”
“Più che puoi. In bocca al lupo”.
“Crepi, Presidente”
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C'è modo e modo

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"Insulto gratuito fatto in modo meschino meschino":



Vignetta "gravemente lesiva dei sentimenti di pietà dei defunti" (l'autore è stato licenziato in tronco dalla Rai):



"Messaggio di pace e di avvicinamento tra le religioni monoteiste" (l'autore è attualmente Ministro della Semplificazione Normativa):


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aridatece Brancaleone

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Il lombardo alla prima Crociata

Uno dei meriti del governo Prodi (per ora dimenticati) è che ci ha fatto uscire dall'Iraq. Una guerra che gli italiani non avevano voluto, che nemmeno Berlusconi aveva voluto – salvo imbarcarsi all'ultimo momento con un piccolo contingente quando credeva che l'alleato avesse già vinto, secondo un classico schema all'italiana che ci aveva regalato già tante luminose pagine di Storia nel Novecento.

Invece la guerra non era finita; alcuni soldati italiani sono caduti, dando (quel che è peggio) la sensazione di essere caduti per niente. Anche per questo nel 2006 Berlusconi ha perso di misura le elezioni; al suo posto è subentrato Prodi, che come prevedeva il programma della sua coalizione ha ritirato le truppe. In questo modo non solo ha evitato altre stragi di soldati italiani, ma ha anche allontanato lo spettro di una ritorsione dei terroristi islamici sul nostro Paese.

Quest'ultimo, mi rendo conto, non è un argomento molto elegante: gli spettri non dovrebbero minacciare nessuno, in fondo se cedo al terrore il terrore ha vinto. Già. Personalmente faccio quel che posso ogni giorno per non cedere al terrore; però se fossi il capo del governo di una sottile penisola allungata nel Mediterraneo, credo che il problema dovrei pormelo. L'Italia è diventata, negli ultimi vent'anni, un Paese 'anche' islamico: non è una novità, se è successo a Inghilterra Francia e Spagna prima di noi, era fatale che capitasse anche noi. Però l'Italia non ha ancora avuto la sua strage terroristica islamica, come l'Inghilterra e la Spagna; e nemmeno la guerriglia di seconda generazione tipica della Francia. Probabilmente è una questione di tempo: nel lungo termine le cose spiacevoli tendono ad accadere. Nel frattempo, se non è dignitoso arrendersi agli spettri, non è nemmeno ragionevole stuzzicarli. Per farla breve: Prodi fece proprio bene a tirarci fuori dall'Iraq. Già. Ma è anche per questo che poi il PD ha perso le elezioni. Perché?

È il problema di chi risolve i problemi: una volta che li hai fatti sparire, non c'è più bisogno di te. L'Iraq era già da tempo scivolato nelle pagine interne dei giornali: col ritiro del contingente è scomparso definitivamente. La campagna elettorale si è giocata tutta sulla politica interna: del resto Veltroni non aveva un altro ritiro da promettere (l'Afganistan è un caso molto diverso). Il solito errore politico di Prodi: ostinarsi a cercare di risolvere i problemi, invece di gestirli. Bastava fare, per dire, come col conflitto di interessi: c'è gente che vota a sinistra da vent'anni in attesa che lo risolvano, ma se lo risolvono poi c'è il rischio che la stessa gente scopra altre priorità, che magari voti a destra, e quindi è meglio procrastinare, no?

Questo la destra lo ha capito da un pezzo. I problemi non si risolvono, i problemi si cavalcano. Prendi la Paura, per esempio: perché dovrebbe essere considerata un problema? In realtà la Paura è la soluzione a un'altro problema, e cioè: perché mai la gente dovrebbe votare per noi? Se smettessero di avere paura comincerebbero a uscire la sera, conoscere altra gente, sviluppare pericolose tendenze materialiste... meglio in casa, a guardare i filmati degli attentati terroristici islamici. Già, se non fosse che questi maledetti terroristi islamici non attentano mai. Ma insomma, tutte queste cellule in sonno, cosa aspettano a svegliarsi? Che a Roma mettano su una metropolitana decente, come a Londra o Madrid? Hai voglia. È frustrante: tocca pescare dalla cronaca nera, che però alla lunga stufa; anche perché per ogni criminale magrebino o rom ne trovi un paio di italiani, e questo è abbastanza imbarazzante. A questo punto arrivano Calderoli e Borghezio: due stuzzicatori di spettri un po' ruspanti, ma abbastanza efficaci.

Il primo due anni fa sfoggiò in tv una maglietta satirica nei confronti del profeta Maometto. È una lunga storia, che più o meno conoscete e su cui non vorrei attardarmi, anche perché su questo blog se ne discusse molto. Ai tempi ero contrario alla divulgazione indiscriminata delle famose vignette olandesi: la libertà di espressione invocata da molti mi sembrava tutt'al più un pretesto per una provocazione nei confronti di chi ha il solo torto di professare una religione. Qui però non voglio discutere di questo, perché non è più questo il punto; perlomeno non lo è più da quando Calderoli mostrò quella maglietta e a Bengasi intorno al consolato italiano la polizia libica lasciò undici morti. Senza voler attribuire direttamente la responsabilità di quelle morti a Calderoli, devo dire che per me quei morti fanno la differenza: forse prima Calderoli aveva qualche diritto per fare il buffone con una maglietta poco divertente in diretta Rai, ma non dopo una tragedia simile. E infatti lui stesso smise di sfoggiarla, e si dimise persino da ministro: molto bene. Ma allora perché rinominarlo?

Sono passati due anni, e di quei morti qui in Italia forse ci siamo dimenticati: altrove è più difficile. Personalmente ritengo comprensibile che qualche esponente libico e della Lega Araba abbia manifestato disappunto per la probabile nomina di Calderoli a ministro. Sarà anche un'ingerenza nei nostri affari interni, ma spiegate a un non-italiano questo mistero: se Calderoli dopo l'incidente non era più degno di rappresentare l'Italia, perché lo dovrebbe essere due anni dopo? Cos'è cambiato nel frattempo, forse che gli undici morti sono meno morti? L'unica spiegazione è che il prossimo governo ha deciso di essere meno rispettoso nei confronti dell'Islam: lo si può dire in un modo un po' più fiorito, ma la cruda sostanza è questa. Borghezio la condisce però con tutte le spezie a sua disposizione. Sentite qua:
Le terribili minacce che giungono da Tripoli [? Quali terribili minacce?] dimostrano che avevo visto giusto indicando la Libia come regista della strategia di invasione delle coste meridionali del nostro Paese. Per fortuna grazie agli elettori, vi sarà finalmente nel nuovo governo la presenza significativa dei crociati della Lega Nord, in grado di combattere fermamente il pericolo del terrorismo jihadista ed i suoi palesi e occulti sostenitori. L'Italia, grazie anche alla Padania, è un grande Paese e non si farà intimidire da chi semina sentimenti di odio contro di noi, contro la nostra religione e contro la nostra civiltà.

La domanda che mi faccio è: ma il famoso elettore della Lega Nord più-intelligente-di-quanto-non-pensiate-voi-intellettuali, quando legge queste sparate (e le leggerà), non si sente fumare le palle? Perché un conto è essere dipinto dal Capo come un partigiano in sonno sempre pronto a tirare fuori il Fucile; sono battute, e si sa. Ma arruolarsi alle Crociate è un altro conto. Non si tratta semplicemente di sparacchiare Roma Ladrona: tirare fuori le Crociate in un contesto del genere significa mettersi contro non solo una dozzina di Paesi affacciati sul nostro stesso mare, ma anche i magrebini che ci fanno il pieno di benzina. Quella di Borghezio è una terapia d'urto: è chiaro che se le cellule in sonno del terrorismo islamico non le risvegli così, significa che per loro non c'è più niente da fare. Ma questa sarebbe una brutta notizia soltanto per Borghezio.

Se invece nei prossimi mesi qualche magrebino commetterà una pazzia, Borghezio & co. avranno già il seggio assicurato alle prossime elezioni. Sì, probabilmente qualche poverò cristiano dovrà morire per questo, ma l'Italia (e la Padania) non si fanno mica gratis.

Sono stato un po' lungo, stanotte? Scusate. Faccio il riassunto: negli ultimi mesi la minaccia del terrorismo islamico (anche grazie al ritiro delle truppe in Iraq operato dal governo Prodi) era molto sbiadita, al punto da rischiare di scomparire. Pericolo evitato: grazie al probabile ritorno di Calderoli nel governo, e ai simpatici discorsi di Borghezio, qualche milione di islamici in Italia e nel mondo si sono ricordati che l'Italia li odia. Se tra questo milione ce n'è un paio in grado di preparare un'autobomba, l'emergenza terrorismo islamico ripartirà alla grande! Naturalmente a quel punto Borghezio passerà come uno che ha precorso i tempi, che vedeva già da lontano là dove gli altri distoglievano lo sguardo.
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- bamboccioni superficiali a Berlino

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Guardami, sono un artista
(ma non tagliarmi la testa)


Gli artisti sono un po’ bambini. I bambini sono un po’ artisti. Quante volte abbiamo sperato di essere un po’ artisti, e invece eravamo soltanto bambini. O viceversa.

I bambini non sono tutti uguali. Ci sono quelli (A) che cercano la tua attenzione – ovvio – perché hanno qualcosa da dirti. Un disegno, una canzone, una storia da raccontarti. Magari non te la sanno raccontare, questo è ovvio, sono bambini. Ma ci provano, e questo spesso è bello, è divertente.
Altri bambini (B), pur cercando la tua attenzione, non hanno veramente nulla da dirti. Hanno soltanto bisogno della tua attenzione, di un attestato alla loro esistenza. Se necessario ricorrono al turpiloquio, urlano, piangono, picchiano i piedi e trattengono il fiato. Questi ultimi bambini onestamente non li amo molto, li trovo molesti e al limite noiosi, ma ammetto che oggi vanno per la maggiore.

Io divido i bambini in queste due categorie, e faccio lo stesso con gli artisti. Ci sono quelli (A) che hanno un messaggio da spiegarti, una storia da raccontarti. Non importa che il più delle volte non sappiano come raccontarla (se sapessero come si fa, sarebbero ancora artisti?) E poi ci sono quelli (B) che non hanno sostanzialmente nulla da dire, a parte: “Ehilà, esisto anch’io, per favore, guardami. Ehi, dico a te: cacca, piscia, guardami. Cazzo, figa, guardami. Cristo, Maometto, Buddha, guardami, esisto anch’io. Sono un artista”.

Detto questo posso provare a spendere i miei 50 eurocent sul caso Idomeneo: è giusto decapitare in effigie Cristo Maometto e Budda sulla scena della Deutsche Oper di Berlino? Per me dipende. Se si tratta di un’operazione di tipo A, sì, forse ne varrebbe la pena. Idomeneo è un eroe Greco che, come Abramo, si trova nella spiacevole situazione di dover sacrificare il proprio figlio a un Dio esigente. E proprio come Abramo, Idomeneo sarà graziato all’ultimo istante. I due miti accennano a una fase cruciale della storia dell’uomo: la rinuncia al sacrificio umano, il passaggio dalla magia al culto religioso. Magari lo scenografo aveva in mente questo. Magari. Non lo so.

Purtroppo, dalle scarse immagini che ho captato via tg, mi sono fatto un’altra idea. Da quelle teste mozzate spira un’aria da grand guignol che mi ha fatto venire in mente tante brutte cose che volevo essermi lasciato alle spalle. La mia tarda adolescenza spesa a portare ragazze d’università in quei teatrini oscuri, off-off-off-off, dove magari un paio d’attori realizzava un remake del Re Lear sputando uova sode sul pubblico. Quella coazione a épater le bourgeois, sempre il solito bourgeois rassegnato a farsi épater da ogni bambino viziato di tipo B. Quell’estetica trasgressiva da Societas Raffaello Sanzio – talmente trasgressiva che ormai ha contagiato anche il prodotto teatrale più conservativo e borghese: l’opera lirica. Tanro che ormai uno un po’ le compiange, le povere signore in visone costrette a sciropparsi tre ore di provocazioni artistoidi con sottofondo di Mozart (e meno male che è Mozart).

Insomma, ho già buttato giù 3000 battute sul caso Idomeneo e non ho ancora centrato il punto: la provocazione antislamica. Ma vedete, il fatto è che stavolta gli integralisti islamici non si erano accorti di niente. Oh, naturalmente da domani il discorso cambia. Ora finalmente è scoppiato il dibattuto e la provocazione dell’Idomeneo è passata sui telegiornali di tutto il mondo: il capoccione mozzato di Maometto è entrato nel palinsesto mondiale e non mancherà di istigare chi è sempre alla ricerca di istigazioni (apprezzate il tempismo: aveva appena fatto in tempo il papa tedesco a chiedere scusa scusa e riscusa per una citazione). Ed ecco, in quest’ansia degli europei di farsi notare, di far scoppiare casi anti-islamici ad ogni costo, mi sembra di ravvedere un certo narcisismo di tipo A: ehi tu, Omar, Mustafà, Alì, insomma, guardami. Faccio delle vignette sul tuo profeta, eddai, incazzati. Gli taglio persino la testa in effige – se non t’incazzi ora, quando?

Naturalmente gli europei hanno il diritto di farlo – e se io ci trovo un sospetto di narcisismo infantile, pazienza, il narcisismo è una sindrome e non è perseguibile per legge.

E poi chissà. Forse, sotto sotto, la vecchia Europa non ne può più, di tutti i suoi figli di tipo B, narcisi e petulanti; isterici piantagrane, sempre pronti a bruciare il papà in effigie (sempre e solo in effigie). Un po’ di provocazione, all’inizio, ci stava anche bene. Ravvivava consuetudini sceniche ammuffite. Ma ormai Brecht è morto, Bene è morto, e gli epigoni riescono a scandalizzare appena i beduini del deserto (ammesso che i beduini captino al Jazeera, e al Jazeera si preoccupi dell’Idomeneo a Berlino). Forse alla fine l’Islam è solo una scusa per darsi un contegno, e cambiare una messa in scena che non funziona più. È un’ipotesi.

Certo si preannuncia una bella lotta, tra l’europeo tremebondo, che ha paura del musulmano cattivo e non osa prendere in giro i suoi profeti, e l’europeo bamboccione che passa il tempo a mozzare Dei di cartone per attirare attenzione. Forse non vincerà nessuno dei due: forse, semplicemente, i bambini cresceranno; smetteranno di avere paura dei mostri e di sollecitare aiuto e attenzione. Sarebbe anche ora.
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- anni zero

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Siamo usciti (vivi) dagli anni Ottanta

E siamo negli anni Zero. Facciamo finta di niente, ma la verità è sempre più dura. Quando ci sbatte sul muso.

Sabato, 4 febbraio, tema d'italiano in terza media. Tre tracce, aventi per argomento:

1) Rosso Malpelo (G. Verga)
2) Il caso delle vignette su Maometto (l'alunno può consultare i ritagli di quotidiani sul quaderno).
3) Sanremo.

Risultati
Il tema n. 1 è stato scelto da n. 11 studenti.
Il tema n. 2 è stato scelto da n. 13 studenti.
2 studenti erano assenti.

Il tema n. 3 non è stato scelto da nessuno.
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dura essere martiri in città

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è dura essere martiri in città.

"Guardi, è una vergogna. Una vergogna".
"Eh già".
"Cioè, ma mi chiedo, cosa deve fare una povera signora?"
"Cosa deve fare?"
"Ha scritto l'articolo, e loro niente. Il libro, e niente. Il secondo libro..."
"Il cofanetto..."
"Niente-niente-niente. Ma cos'è?"
"E' mancanza di rispetto, ecco cos'è".
"E poi è razzismo. Un indiano, dico, un indiano, uno che suo nonno ancora s'inginocchiava davanti alle vacche, lui sì. Ma lei no. E poi non dite che ci rispettano, a noi occidentali".
"Ah, beh, no",
"Se non è mancanza di rispetto questa, cosa?"
"Ah, non lo so, guardi".
"Che io capisco tutto. Anche la libertà d'espressione. Viva la libertà d'espressione".
"Viva!"
"Ma la libertà d'espressione senza nessuno che s'incazza e brucia le ambasciate per quel che dici o scrivi o disegni, è una fregatura. Ecco cos'è".
"Da volere i soldi indietro".
"E dire che è una persona semplice, modesta. Si contenterebbe di poco".
"Del tipo?".
"Ma non so. Una fatwa. Anche piccola".
"Magari un po' di chiasso in strada, cassonetti bruciati e macchine, cose così".
"Eh, ci starebbe".
"Un attentato?".
"Beh, perché no? Fanno degli attentati per cose molto più cretine, dopotutto. Ma il fatto è che sono senza pietà".
"Senza pietà".
"Neanche un po' di pietà per un'anziana signora molto malata che vorrebbe andarsene col botto".
"Come una martire".
"Una martire, sì. E sì che loro dovrebbero capirla, questa cosa del martirio. C'è nella loro cultura, o no? Io sapevo che c'era, nella loro cultura. E invece..."
"Invece niente".
"Niente, niente, niente di niente. E insomma una signora cosa deve fare? Cosa deve fare per farsi notare?"

La Fallaci ha spiegato di voler raffigurare Maometto "con le sue nove mogli, fra cui la bambina che sposò a 70 anni, le sedici concubine e una cammella col burqa. La matita, per ora, si è infranta sulla figura della cammella, ma il prossimo tentativo probabilmente andrà meglio".
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- al mondo ci sono persone

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Al mondo ci sono persone che per queste stronzate muoiono


Pensavo di non avere più niente da aggiungere, poi mi è venuta in mente una cosa:

che tra qualche mese, quando si placherà anche l'ondata di assalti alle ambasciate (come si placano bene o male tutte le ondate, i roghi d'auto in Francia e i sassi in autostrada), qualcuno farà i conti delle vittime e scoprirà che al novanta, forse al novantanove per cento sono musulmani. Islamici. Forse integralisti. Forse solo incazzati. Comunque morti, il che per me chiude il problema.

Noi occidentali abbiamo la tendenza a vederci come parte lesa, in questa storia (e non solo in questa storia). Ma se fossimo davvero così occidentali, se volessimo occidentalmente giudicare la questione in termini di torti fatti e subiti, ci accorgeremmo in un istante che non è così. Certo, abbiamo anche noi avuto delle perdite. Tutte quelle ambasciate, quei consolati, immobili di pregio, spesso in lotti centrali – lo dico senza ironia, è un danno economico grave. Senza parlare di ciò che per molti è ancor più importante, vale a dire l'affronto alla nostra fondamentale libertà di raffigurare nelle vignette tutte le facce che vogliamo, anche quelle dei profeti altrui.

Dall'altra parte, però, sono morti decine (centinaia?) di persone. Islamiche. Ma adesso che sono morte, sono solo persone. Certo, so benissimo che il determinismo è molto più complesso. Non è che un libico muoia perché Calderoli indossa una maglietta – no, per l'amor di Dio. Perché il libico muoia sono necessarie tante variabili indipendenti da Calderoli. Un popolo povero in un Paese ricco. Un'ex colonia, una dittatura militare che si destreggia alla benemeglio coi grandi della terra senza neanche affettare un po' di democrazia (per i precedenti terroristici è bastata pagare la supermulta). Insomma, miseria, isolamento, risveglio del fondamentalismo islamico, ecc. ecc. Questi sono i veri problemi, altro che Calderoli.

E tuttavia, per quanto indipendente, la variabile Calderoli c'è. E funziona. Calderoli indossa, e un libico muore. D'accordo, non è colpa sua: ma un libico è morto. D'accordo, ha il diritto d'indossare tutte le magliette che vuole, ma un altro libico è morto (e certo, hanno anche bruciato l'ambasciata, è seccante).
Un giornale pubblica vignette: ne ha la facoltà, ma moriranno delle persone. È un ricatto umanitario? È un ricatto umanitario. Io, se fossi il direttore responsabile (nel vero senso della parola: direttore responsabile), cercherei di non scatenare la mia variabile indipendente, e poi alle variabili degli altri ci penseranno gli altri. Non posso convertire l'Islam alla tolleranza in 24 ore (o in 4 anni di guerra al terrore). Del resto, non riesco neanche a cambiare la testa a chi vota Calderoli. Ma se posso fare qualcosa per evitare che muoiano persone, io lo faccio. Mi gioco la mia libertà d'espressione? Forse sì. Però ho fatto quel che potevo per evitare che morissero persone.

Citano tutti Voltaire, ultimamente. Simpatico, ma non è il mio francese preferito. Da ragazzino ne lessi un altro che mi colpì molto, per una frase che suonava più o meno così: può darsi che nell'assurdo in cui viviamo, l'uomo non possa fare altro che cercare di ridurre aritmeticamente il dolore del mondo. Non vi sto a dire chi è, perché è probabilissimo che abbia sbagliato autore e citazione, e poi tutto sommato non importa. Quel che importa è che io ci credo. Per cui ritiro tutti i pipponi sulla cultura del rispetto che vi ho propinato fino a oggi. Il mio è semplicemente un problema di coscienza. Non sopporterei che persone morissero anche per causa mia. Anche se sono fanatici, fondamentalisti, brutti, sporchi e cattivi, e bruciano le ambasciate. Tutto questo ha un'importanza molto relativa per me perché, l'istante dopo essere morti, sono soltanto uomini.
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- generazione di fenomeni, 2

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(Prossimamente, penso che scriverò roba più leggera).

Ma sul serio: se io sono veramente ateo, se credo che Dio sia una semplice impostura, come posso sopportare che miliardi di persone intorno a me vivano in questa impostura? Come posso 'tollerare' una menzogna così diffusa e capillare? No, non posso. Devo gridare ai quattro venti che Dio non c'è. Ma allora la mia condizione non è molto diversa da quella di chi crede che un Dio ci sia, uno o trino, o senza volto, o con la proboscide, e che parimenti non può tollerare di avere la verità rivelata in esclusiva: deve gridarla ai quattro venti. Davvero dovrei stare zitto e "tollerare" che gli impostori e gli ingenui intorno a me urlino qualcosa che ritengo sbagliata?

Le risposte che accludo valgono solo per me – tra l'altro, adesso che mi viene in mente, io non sono ateo. Ma cambia poco.

Perché non posso non rispettare le religioni degli altri (anche se sotto-sotto mi sembrano coglionate)

1) Perché non convincerò mai nessuno ostentando la superiorità delle mie ragioni e umiliando le sue – come ben sa chi ha un blog. È mai servito a qualcosa scrivere che Berlusconi è un pagliaccio, e chi lo vota è un fesso? Allo stesso modo, l'approccio "Dio non esiste, smetti di crederci, coglione" non funziona. Dio, come Berlusconi, si sconfigge seminando pazientemente dubbi in chi ci crede. Ma per seminare occorre tempo e serenità. Occorre ostentare rispetto per l'avversario mentre si avvelenano i suoi pozzi. Occorre essere semplici come colombe e astuti come serpi (buona, questa. Dove l'ho già sentita?)

2) Perché non posso convertire tutti. Semplicemente. Il mondo non può permettersi sei miliardi di atei. Se l'ateismo è quello che intendo – un ateismo rigoroso, razionale, scientifico – dobbiamo ammettere che esso è destinato a rimanere ancora a lungo un lusso. Un appannaggio delle élites. Mi rendo conto di dire una cosa antipatica.
Per Marx la religione era il noto oppio dei popoli. Ma i popoli erano destinati a liberarsi e a impadronirsi dei mezzi di produzione: una prospettiva di fronte alla quale l'oppiomania appariva come un palliativo inutile e dannoso. Perché perder tempo in paradisi artificiali quando il Sol dell'Avvenire sta apparendo all'orizzonte? Non c'è bisogno di spiegare che la nostra prospettiva è molto diversa.

Noi sappiamo che la Storia non ci sta preparando nessuna rapida palingenesi. Sappiamo che la scienza, la medicina e l'economia, con tutti i loro progressi, non riescono a impedire che miliardi di persone vivano male: al punto che c'è forse più sofferenza umana sulla terra oggi di quanta ce ne sia mai stata in passato.
Sappiamo che di fronte al dolore la scienza è troppo spesso impotente. Viviamo in un'epoca di diagnosi rigorose e cure imperfette. La nostra scienza funziona benissimo quando deve spiegarci di che malattia stiamo soffrendo, o perché il nostro Paese è in recessione. Funziona assai peggio come erogatrice di speranze. A tutt'oggi non ci sono ricette per gran parte dei mali che ci affliggono, fisici e morali. Forse vale la pena di guardare all'oppio con un occhio diverso.

Le grandi religioni, quelle che azzerano il calendario, si sono sempre affermate in periodi di crisi simili a questo. Prendiamo il cristianesimo: se ha avuto lo straordinario successo che sappiamo, è perché ha individuato un "mercato" che nessun prodotto era più in grado di soddisfare. Il mercato della sofferenza e della disperazione – e quando dico "mercato", non parlo per metafore. Dal III secolo in poi, le comunità cristiane hanno portato alla luce un soggetto economico che prima non esisteva: il bisognoso. In un mondo che ignorava (oltre che la luce elettrica e la penicillina) qualsiasi forma di Welfare State, i cristiani iniziarono a raccogliere fondi con lo scopo di destinarli a vedove, orfani, perseguitati, poveri. In seno allo Stato militare (che tassava i cittadini ormai quasi esclusivamente per mantenere burocrazia ed esercito), nasceva un'idea di Stato assistenziale. Non è curioso che la fratellanza musulmana (che in Palestina si chiama Hamas) sia nata e cresciuta nei Paesi arabi nella stessa maniera? La fratellanza sostituisce (male) l'assistenza sociale in Paesi in cui i poveri sono abbandonati a loro stessi. Tutto questo è giusto? No. Ma tutto questo può essere cambiato rapidamente?

Se io sono ateo, forse è perché me lo posso permettere. Ho un buon lavoro, che dà un senso a parte della mia vita; e una famiglia abbastanza confortevole. Se soffro di qualcosa, posso acquistare le medicine che mi servono. Posso anche investire parte della mia vita e dei miei guadagni in divertimenti. Insomma, non ho così bisogno di Dio. Così sono ateo. Perché sono più intelligente di altri? O perché sono un privilegiato?
E a chi non è altrettanto fortunato – o intelligente – cos'ho da proporre? Posso garantire un lavoro a tutti i poveri della terra? Una famiglia confortevole? Medicine a prezzi equi? Divertimento occidentale? No, non posso. Se sto bloccando le frontiere, è evidente che non ci sono abbastanza risorse per tutti. Ma allora, cosa ho da proporre ai poveri della terra, di meglio del caro-vecchio-oppio-dei-popoli?

3) Tutto questo, gli impresari delle religioni lo sanno. Dirigono onorate società che stanno sul mercato da migliaia di anni. Si vede che in qualche modo funzionano. Non meritano rispetto, almeno per questo? Vendono una cosa di cui c'è un gran bisogno: la speranza. Poi magari alla fine si scopre che è un pacco – ma per ora non c'è molto di meglio sul mercato. So che è un discorso antipatico.
So che dovrei proporre un orizzonte diverso, in cui tutti ci ribelliamo all'oppio e alle false credenze, e ci diamo da fare per costruire non già un mondo migliore, ma la speranza di un mondo migliore. Purtroppo, se devo essere onesto, non mi sembra di vivere così.
Mi sembra di vivere in un regime di moderata disperazione, che curo con quello che trovo sul mercato occidentale: qualche soddisfazione sul lavoro, una vita domestica abbastanza tranquilla, la mia bella pagina web per la libertà d'espressione… e poi c'è l'intrattenimento. Massicce dosi d'intrattenimento – questo è l'oppio nostro. Persino quell'ateo fiero che è Gianluca Neri, secondo me, sarebbe pronto a immolarsi per il suo decoder. E guai a dirgli che è roba da rincoglioniti – lui risponderà che i fenomeni mediatici vanno studiati, criticati, capiti. Ebbene, con le religioni il discorso è lo stesso. Sono fenomeni mediatici millenari, che tutto meritano fuorché d'essere snobbati: vanno studiati, criticati, capiti. Se non altro, perché hanno funzionato per centinaia di generazioni – i reality show non dureranno altrettanto. Non credo, perlomeno.
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- post-marxista

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Relativismo culturale for dummies

Giuro, giuro, qui davvero non si parla più di vignette. Si parla però ancora di Luca Sofri, scusate (mi scusi anche lui, se lo riduco a uno stereotipo).
In un pezzo di due giorni fa, su Wittgenstein stigmatizzava...
...l’involontario ma esplicito razzismo che sta dentro il relativismo culturale: è la pretesa di essere indulgenti e rispettosi “perché loro sono fatti così”. Sono diversi, si incazzano e boicottano la Lurpak se un giornale ha pubblicato le vignette, “perché non capiscono la differenza, da loro non è così”. Manifestano e bruciano bandiere “perché per loro l’immagine del Profeta è sacra”. Pretendono le scuse del primo ministro “perché non conoscono la differenza tra governi e privati”. Sono diversi. […]
Dare il diritto a qualcuno di comportarsi da cretino, o anche solo trovargli giustificazioni e provocazioni, è dargli del cretino.
Questa cosa del relativismo culturale sta diventando imbarazzante.
Insomma, no.
Non esiste il relativismo culturale, in questi termini – esisterà come chiacchiera da bar, o commento da blog, ma siamo un po' seri. È un fantoccio, un idolo baconiano, uno stereotipo culturale: quello del radical chic che apprezza i popoli barbarici nella loro rude e ingenua virilità. E se non erano i radical chic era Pasolini – comunque erano gli anni Settanta! Settanta! Io andavo ancora in triciclo.

Insomma, questi relativisti culturali, che vanno in giro dicendo che dobbiamo amare gli islamici anche se combinano macelli, ma chi li ha visti? cos'hanno in testa? Per loro se nasci occidentale sei democratico, mentre se nasci nella "cultura islamica", non c'è scampo, ti tocca bruciare le ambasciate e credere nelle 72 vergini. Dovrebbe dunque esservi al mondo un numero finito di "culture", che evidentemente sussistono come enti a sé, naturali (una contraddizione in termini), determinando infallibilmente il comportamento di chi nasce entro i confini di quella "cultura". Ma esiste davvero una corrente di pensiero così cretina? Sì, forse sì – salvo che non è la mia. Invece, mi sembra curiosamente più affine a quella dello scontro delle civiltà di Huntington. E io devo essere veramente uno che si spiega male, per suggerire l'idea che sto con Huntington.

Cercherò di spiegarmi meglio.
Io non sono un relativista culturale.
Io sono un assolutista culturale. Perché alla fine credo in un solo tipo di "cultura".
Per me – e per usare la definizione di un pensatore un po' out – la cultura è una sovrastruttura. Essa nasce, e si puntella, sulla vera struttura della società, che non è culturale, ma economica. Cito una sola frase, e poi basta: "Non è la coscienza degli uomini che determina la loro esistenza, ma la loro esistenza sociale che ne determina la coscienza". Se ho capito bene: non è che gli arabi bruciano le ambasciate perché il Corano glielo impone; ma è l'economia dei loro Paesi, la povertà, l'iniqua distribuzione delle risorse, che li fa crescere in un certo modo; e il modo in cui crescono li porta a non transigere sul Corano e a bruciare le ambasciate.

E a quel punto, è inutile che io mi metta a criticare la loro sovrastruttura. È una trappola. Il problema non è il Corano. È quello che sta dietro. L'economia. L'economia. Nessun relativismo. Esiste una sola economia, esistono sfruttatori e sfruttati; in questo si divide il mondo. Anche se la divisione è più corpuscolare, sfumata, fuzzy , di quanto si credeva un tempo. Ma c'è. Forse passa in mezzo a molti di noi – ma c'è. Io ci credo. Nella maniera più assoluta. Relativista a chi? Relativista sarà lei.

In questo caso pratico, io semplicemente non posso accettare l'idea (questa sì, perversamente politically correct) che il ragazzino arabo che tira sassi agli europei per via delle vignette abbia le stesse opportunità di comportarsi civilmente che ho io, qui in Europa, mentre scrivo questo blog. Ma scherziamo? La cultura è un lusso. Io me la posso permettere, il ragazzino no. Perché? Non per il colore della pelle – ma perché io vivo in uno Stato occidentale, faccio tre pasti al giorno, sono laureato, ho letto alcuni libri importanti, ho la tv, l'accesso a internet, l'automobile, l'acqua corrente. Lui no. Magari alcune di queste cose le ha, ma altre gli mancano.

Per favore, notate come io non nutra nessuna forma di multiculturalismo piacione nei suoi confronti. Non ho alcuna simpatia per questo ragazzino, così com'è. Mi odia e mi sgomenta. Vorrei che cambiasse le sue idee su di me, e alla svelta. Ma è inutile che me la prenda con lui per com'è adesso. Per cambiare, gli occorrono tre pasti al giorno, scuola pubblica, biblioteche, tv, internet, automobili, tubature... Occorre una rivoluzione, sì, una volta la chiamavamo così. I neoconi ora lo chiamano "choc democratico".

Salvo che sono terribilmente superficiali, i neoconi. Per loro tutti gli uomini sono uguali (davanti a chi?) In tutti alberga, naturalmente, l'anelito alla democrazia. Basta invaderli, distruggere tutte le infrastrutture tiranniche (incluse le linee elettriche e le tubature), e lasciare che quest'aspirazione liberata prenda forma. Per la verità le cose non sono andate così. Tre anni fa il primo atto pubblico della comunità sciita liberata fu correre in strada ad autoflagellarsi.

Il problema è che i neocon continuano a confondere sovrastruttura e struttura. La parola "democrazia" non rende liberi. La luce elettrica rende liberi. Se il popolo "liberato" rimane al buio, non sviluppa nessun tipo di "cultura democratica".
Abbattere un tiranno può essere il primo passo (se la guerriglia non diventa endemica). Ma ridistribuire le ricchezze è molto più difficile. Il comandante in capo si è riempito per tre anni la bocca di questa parola – "democrazia" – senza spiegare come intende ridistribuire al popolo iracheno le ricchezze dell'Iraq (se lo ha spiegato, non ero attento).
In generale, ahinoi, persino i neocon stanno scoprendo che le risorse non sono infinite. E questa è una tragedia. Perché se non possiamo esportare il nostro benessere, allora non possiamo nemmeno permetterci tutti il medesimo grado di cultura.

Se voglio che il ragazzino abbia l'acqua potabile, devo toglierla a qualcuno. Se voglio finanziare lo sviluppo dei Paesi bloccati sulla via dello Sviluppo, debbo pagare un prezzo più equo per le risorse che mi offrono.
Ma allora la mia benzina, le mie banane, i miei datteri, i pompelmi... mi costeranno di più. E questo comincerà a innervosirmi. Finché non dirò e commetterò scemenze. Inizierò a covare un'antipatia (del tutto sovrastrutturale) per gli arabi. Pubblicherò vignette cretine e provocatorie su un quotidiano. In pratica, comincerò a perdere pezzetti della mia squisita "cultura". È quello che sta succedendo, del resto. Mentre cerchiamo di esportare la democrazia, stiamo importando l'intolleranza religiosa e il razzismo. Servono esempi?

E per favore, non si dica che la guerra è anche "contro di loro", gli occidentali intolleranti e razzisti. Non è vero. Loro sono coccolati e incoraggiati. Hanno i loro spalti, e i loro giornaletti sui quail possono leggere vibranti appelli contro "i cretini multiculturali".

Nel frattempo, in un'altra parte del mondo, dopo aver mangiato discorsi sulla democrazia, bevuto discorsi sulla democrazia; dopo essersi illuminati la notte al fuoco astratto della parola "libertà" – gli iracheni sono andati alle urne e hanno eletto i candidati indicati dall'ayatollah al Sistani.
Non tanto perché al Sistani faccia parte della loro "cultura": ma per il solito, vetusto motivo: sono in guerra, sono poveri, sono disperati. E dove c'è disperazione, lì c'è religione. La religione è la tipica sovrastruttura dell'infelicità. Nella carestia, Sistani ha parole di vita eterna. Bush no.

Anche da noi la religione sta tornando, del resto. E molti iniziano a navigare nell'irrazionale spinto.
Irrazionale è Giuliano Ferrara, il nuovo ultrà cattolico che non so se si sia già preso la briga di cresimarsi. Comunque già avverte che non intende "morire per un branco di cretini". Cretini a chi? Ma "Cretini multiculturali", naturalmente.
A questo livello, uno cosa può rispondere? Il relativismo culturale, nella sua versione for dummies, è un'invenzione dialettica di Ferrara e del suo giornaletto. Serve semplicemente ad abbassare il dibattito, al livello di: "tu-cretino-pensa-che-loro-non-capaci-di-democrazia, perché-sei-razzista".
No.
Io no cretino.
Io studiato queste cose e so che democrazia è processo graduale e difficile.
Che suffragio universale in situazione di crisi economica e no garanzie, porta quasi sempre a tirannide e guerra.
Ed ultime elezioni in Iran, Iraq, Palestina, sembrano dare a me ragione.
È chiaro?

Mi dispiace, ma dopo un po' dummy è chi dummy fa. Voi non siete ragazzacci di un Paese bloccato sulla Via di Sviluppo. Avete il gas, avete la luce, avete l'adsl e i trasporti pubblici. Quindi io vi considero in grado di formulare argomenti più complessi. (Senza tirar fuori l'annoso problema che, come contribuente, vi pago abbastanza bene proprio per questo. Per approfondire la complessità degli argomenti. Non per sentirmi dare del cretino a vanvera).
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- non il solito post sulle vignette

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Pensiamo tutti all'elefante, ovvero
generazione di fenomeni

Questo, se Dio vuole, non è un pezzo sulle vignette. Che sono state semplicemente una disastrosa provocazione (su questo direi che possiamo concordare).

Questo è un pezzo sulla mia generazione, che secondo me ha dei problemi con Dio. Non nel senso che non vuole riconoscere la sua infinita misericordia, ecc. Balle. Si può benissimo vivere senza credere in Dio, la maggior parte di noi lo fa. Ma si può vivere senza rispettare i credenti?

Dici: la tua generazione. Ma cos’è una generazione? Come fai a capire che esiste una generazione? L’ho capito dai blog. La mia è la generazione che li sa usare. Gli altri non li conoscono, i blog, o al limite li subiscono. La mia li usa, non sempre bene.
Il caso delle vignette ne è una prova. Come ha notato, per esempio, Luca Sofri, c'è stato uno scollamento tra i pareri espressi sui quotidiani e quelli sviluppati sui blog:
la distanza tra le opinioni pubblicate sui giornali e quelle pubblicate sui blog - sulle questioni danesi - non era mai stata così vistosa (non sto a linkare i mille esempi, li avrete visti tutti). “ci sono molti che si stanno rivolgendo a internet, ai blog, ai commenti, per trovare e dire quello che sono stati delusi di non trovare sui giornali. E mi pare - ripeto, non voglio affermare nessuna competizione o svolta epocale: parlo di questa circostanza - che il livello del dibattito sia assai superiore.

E’ successo che, mentre tutti i rispettabili corsivisti dei quotidiani, oltre a condannare la reazione violenta del mondo islamico, ricordavano la necessità di non offendere gratuitamente le religioni altrui, sui blog prendeva forma una posizione molto meno sfumata. Che potrei riassumere così: la libertà d’espressione non si tocca. Se cominciamo a rispettare un tabù (il volto di Maometto), o un dogma, o una ‘sensibilità particolare’ di qualsivoglia religione, alla fine non riusciremo più a parlare di nulla. E a ridere di nulla. Sto semplificando, eh? Ma il punto più o meno è quello.

Luca Sofri cita, come esempio di “dibattito superiore”, un pezzo di Babsi Jones su Macchianera apprezzato da molti, che dice, fra l’altro:
Ho detto e scritto che l’Islam ha un gravissimo problema di gestione del concetto di “libertà individuale”, e lo riscrivo. E che ritengo il laicismo l’unica soluzione possibile per una pacifica convivenza, e le religioni, tutte, un rincoglionimento neanche tanto progressivo.

Quest'ultima frase, a pensarci su, è enorme.
Infatti, per Babsi il laicismo è l’unica soluzione per convivere (e posso concordare): ma per convivere con chi? Con tutti noi: con chi crede in un Dio e con chi non ci crede. Il problema è che per Babsi (ma non solo per lei, non solo per lei) chi crede in un Dio alla fine della partita è un rincoglionito. Dunque: “il laicismo è l’unica soluzione per convivere con voi, che comunque siete tutti rincoglioniti”.

Purtroppo per Babsi (e per molti), non basta definirsi laici per esserlo. Un ateo che è convinto di avere assolutamente ragione non è molto più laico di un testimone di Geova che crede di avere assolutamente ragione. Entrambi portano la luce in un mondo di rincoglioniti.
La laicità è un’altra cosa. E’ accettare che esistono altre verità, oltre alle mie. Non devo per forza essere d’accordo con chi le sostiene, ma devo rispettarli. Proprio perché pretendo che loro rispettino me.

Quel che mi è successo in questi giorni, è che ho capito che la mia generazione (la generazione che usa i blog) questa idea non l’accetta, magari la capisce, ma non la manda giù. Se credi in Dio sei un coglione, punto. Io non ho molta voglia di interessarmi alla tua particolare sensibilità di coglione superstizioso. Sei tu che devi imparare che le religioni sono una fregatura. Non puoi impormi la tua sensibilità. Devi accettare la mia, che è migliore, perché è laica (ah sì? E’ laica?)

Prendiamo ancora Luca Sofri. Legge Battista sul Corriere, e lo trova interessante. Battisti sostiene che alcune vignette su Maometto siano razziste, se non antisemite. Sofri ci ragiona un po’ su e conclude: no, mi sembra che non ci sia razzismo nelle vignette. Questo sì che è curioso. Battista ce lo vede, Sofri no. Entrambi hanno un paio d’occhi e il cervello acceso. Perché non arrivano alla stessa conclusione?

Io dico che sia un problema generazionale, appunto. Battista sa che con la religione bisogna andarci cauti. Il suo è una specie di riflesso incondizionato: c’è una vignetta anti-religiosa? Non mi fido, sento già odore di razzismo. Con Sofri questo riflesso non scatta più. Non voglio dire che sia un bene o che sia un male, che Battista sappia più di Sofri o sia più empatico con l’Islam. Semplicemente, Sofri è più giovane. Dove con “giovane” non intendo dire “inesperto”. Intendo: appartenente a una generazione (la mia), che non ha la stessa cautela in materia di religione. Che questi argomenti è portati a tagliarli col coltello. Fino al paradosso di Babsi: io sono laica, infatti credo che i credenti siano tutti rincoglioniti.

Chissà quanti credenti saranno disposti al dialogo con Babsi su queste premesse. Ma il punto è: lo vogliamo veramente, il dialogo, noi della generazione di Babsi? O non c’interessa semplicemente reclamare il nostro spazio, la nostra insopprimibile libertà espressiva, la nostra necessità di sovvertire qualsiasi divieto? (E qui, certe considerazioni di Lia cadono a fagiolo).

A chi mi ha seguito fin qui, posso confessarlo: vi ho fregato. Questo era un pezzo sulle vignette.
Posso riassumere una volta ancora la questione?
C’è una religione X che tra i suoi tabù ha il seguente: non devi mai pensare a un elefante rosa. Mai e poi mai.
Passano mille anni, e gli adepti a un’altra religione (la chiameremo LSO: “Laicismo snob occidentale”), scoprono che i loro dirimpettai della religione X hanno dei problemi a immaginare gli elefanti rosa. Siccome tira una brutta aria (migrazioni di massa, crisi economica, guerre civili), gli adepti di LSO iniziano a passarsi la voce: gli adepti di X hanno un ridicolo tabù che limita la libertà di pensiero! E’ una vergogna! Facciamo qualcosa!
Cosa facciamo?
“Pensiamo tutti a un elefante rosa! Infatti, ne abbiamo il diritto! E guai a chi ce lo tocca! Elefante rosa! Elefante rosa!”
Domanda: chi è più “rincoglionito”? Chi crede in X o chi crede in LSO?
Provate a rispondervi laicamente.
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- libertà, quanti crimini in tuo nome

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Il Male esiste. Ma anche la Stupidità non scherza.

Il fanatismo islamico esiste. E peggiora, di anno in anno. Non credo di dare a nessuno una notizia.
Ma tocca scriverlo lo stesso, perché altrimenti sembra di voler minimizzare il problema. No. È proprio che mi pongo il problema, proprio come se lo pone la Fallaci (anche se lei guadagna di più). Il fanatismo islamico esiste e fa proseliti. Ogni anno. E se intendiamo continuare a pubblicare vignette che mostrano il volto di Maometto, quest'anno magari ne farà parecchi di più. Naturalmente abbiamo il diritto di farlo. Ma a chi conviene esattamente? A noi o ai terroristi?

Com'è fatta la società araba? In cima, ci sarà bene una crosta sottile di laici. In profondità, alcuni nuclei tossici di integralismo religioso. Tutto il resto è un'amalgama di persone più o meno ligie all'Islam e ai suoi Cinque Pilastri.
I nuclei tossici più o meno li conosciamo. Ormai siamo dei veri esperti di integralismo: ci sono i film, i libri, e tutto. Ma l'amalgama, cos'è? L'arabo-massa, chi è? Ne sappiamo poco.
Cerchiamo almeno di raffigurarcelo. Diamogli un nome. Omar (È il più facile da scrivere).
Chi è Omar?
È il mio alter-ego sull'altra sponda del mediterraneo. Cos'ho io che lui non ha? Parecchie cose. Malgrado i soldi a pioggia arrivati (non dappertutto) col petrolio, Omar è più povero di me e non ha una vera rappresentanza politica. Dunque è arrabbiato. Se ha accesso a un satellite, ha la possibilità di vedere che dall'altra parte del mediterraneo c'è un mondo più ricco e democratico. È possibile che sia anche invidioso. Nei fatti, molti coetanei di Omar si sottomettono a esperienze umilianti e costose pur di approdare nei nostri Paesi: segno che l'Occidente è ancora un modello ammirato. Ma se Omar vuole restare? Non possono andare via tutti.
Fino a vent'anni fa, chi restava poteva coltivare la speranza che il Maghreb e il Medio Oriente raggiungessero lo stesso tenore di vita dell'Occidente. Poi quella speranza si è spenta (proprio quando cominciavano ad arrivare i primi canotti da noi). Non è stato un perfido mullah a spegnerla. I perfidi mullah si sono semplicemente inseriti nelle crepe di una disperazione. Quelli che negli anni Sessanta erano i Paesi in via di Sviluppo, sono rimasti bloccati sulla via dello Sviluppo. L'integralismo è ricominciato dalla constatazione – rabbiosa – che i cancelli d'oro del benessere occidentale erano chiusi. Da cui la necessità di ripiegare su un'altra via, un'altra speranza: l'Islam. Proprio mentre la nostra società si secolarizzava definitivamente, quella araba si è irrigidita.
Naturalmente possiamo esecrare questa involuzione. Ma la religione non è il problema: la religione è un sintomo del problema. Nelle nostre società le fedi – tutt'altro che in crisi – sono funzionali a uno scopo preciso: la gestione della sofferenza. Più le cose vanno male, e più esse si ritrovano a raccogliere vittime degli ingranaggi sociali arrugginiti, dando loro uno scopo di vita. Non funziona così soltanto nei Paesi arabi.

L'Islam, nei suoi fondamentali, è una religione semplice e astratta. Esiste un solo Dio, e non è raffigurabile. Perché è, irrimediabilmente, 'altro' dall'uomo. Maometto, il fondatore, temeva l'idolatria annidata in figure e statuette. Adorare una figura di Dio non è adorare Dio. Se lascio liberi i miei fedeli di costruirsi delle immagini, come possono essere sicuri che i loro figli non adoreranno soltanto le immagini? Non è una sciocchezza, questa. Pensiamo soltanto al nostro culto dei santi, con le statue che vanno in giro e fanno i miracoli. Pensate al culto della Madonna, che a seconda della statua cambia denominazione e facoltà miracolosa (Madonna del Rosario, del Carmelo, di Lourdes, Immacolata Concezione… proprio come le dee pagane: Venere Victrix, Venere Felix…) Per l'Islam (ma anche per Lutero) quella è tutta paccottiglia da idolatri. Certo, i musulmani non vengono a dircelo in faccia. Che io sappia non pubblicano vignette sulla stupidità dei cattolici idolatri. Magari ne avrebbero il diritto. Ma non lo fanno.

L'idea della non raffigurabilità non è un'invenzione islamica. Già il Dio degli Ebrei non amava essere visto, e nemmeno pronunciato. Persino i cristiani non erano tutti d'accordo sulla libertà di raffigurazione: un secolo dopo Maometto, gli imperatori bizantini (cristiani) ordinarono la distruzione di icone e bassorilievi (cristiani).
Ma in Occidente la raffigurazione ha vinto. Ha vinto perché il Dio dei cristiani è un'entità molto più umana: ha fatto l'uomo a sua immagine, e poi si è incarnato in lui. Tutto questo ha portato non solo ad alcune degenerazioni, ma anche alla nascita di una cultura squisitamente figurativa. Per molti secoli in Italia Cristo ha dovuto esprimersi in figure – visto che i fedeli non sapevano leggere (o forse non imparavano a leggere perché tanto c'erano le figure?) Ci sono stati i misteri medievali, in cui gli attori impersonavano le figure della Bibbia (e spesso il risultato doveva risultare parodico, che lo volessero o no). C'è stata la pittura, che a partire da Giotto ha inserito Cristo e i Santi in cornici sempre più realistiche. C'è chi dice che lo stesso realismo ottocentesco e novecentesco abbia una radice nelle rappresentazioni figurate che dal medioevo in poi sono diventate sempre meno divine e sempre più umane.

Nel frattempo, sotto il mediterraneo, l'Islam produceva una cultura figurativa totalmente diversa. Per i musulmani la mediazione tra Dio e l'uomo non avveniva mediante l'immagine, ma la parola: mentre noi sviluppavamo il realismo figurativo, loro perfezionavano la calligrafia e l'arte astratta. Col tempo, il divieto di raffigurare Dio si è esteso anche al suo profeta, Maometto. Ciò non significa che non esistano, già dai primi secoli, raffigurazioni del profeta con volto e barba (via Griso); ma sono rimaste minoritarie (del resto anche noi avevamo quadri che ritraevano gli apostoli intorno alla Madonna morta: poi un Papa ha dichiarato che la Madonna era immediatamente volata in cielo al trapasso, e quei quadri non li abbiamo fatti più).

Tutta questa digressione perché continuo a sentire e leggere persone che non riescono a capire la pietra dello scandalo: in fondo, dicono, sono solo una dozzina di vignette, né molto cattive, né molto divertenti. Ma il problema non è che alcuni ritratti del profeta potrebbero risultare razzisti e, sì, antisemiti. Non è nemmeno la battuta. Il problema è la raffigurazione. Raffigurare Maometto non è come raffigurare Cristo: da una parte ci sono duemila anni di raffigurazioni, dall'altra mille anni di divieti. È così difficile da capire, la differenza? Possiamo rifiutare di capirla. Ne abbiamo il diritto. Possiamo continuare a pontificare di cose che non sappiamo. Ma ci facciamo una bella figura?

Torniamo a Omar. Abbiamo detto che non è un integralista. È probabile che covi un amore/odio per l'occidente. L'Islam è la sua cultura, e l'Islam proibisce la raffigurazione del volto di un profeta. Può darsi che la sharia contempli divieti molto odiosi; ma questo, francamente, non lo è. È un punto d'onore teologico. Ciò che fa l'Islam una religione diversa dalle altre è l'enfasi sul monoteismo.
Quest'arabo-massa, per quanto possa sembrarci strano, si sente minacciato. Proprio come noi, che dall'11 settembre ci sentiamo assediati dall'Islam. Nel 2001 gli anglo-americani (che dai tempi del Kuwait hanno basi in Arabia Saudita) hanno invaso l'Afganistan; due anni dopo l'Iraq. Ora c'è la crisi in Iran. Per non parlare della questione palestinese, che in molti regimi è usata come valvola di sfogo sociale: si organizzano parate antisioniste per prevenire spontanee manifestazioni antigovernative. Non voglio entrare nell'annoso dibattito su chi abbia iniziato, se noi o loro. Di sicuro non abbiamo iniziato io o Omar. Ma cosa importa? A questo punto anche io e Omar ci sentiamo in guerra. E nessuno di noi è convinto di vincerla. Io vedo attentati in tutto il mondo civilizzato, e Omar vede gli arabi sconfitti sul campo.

Ed ecco che arriva questa brutta storia delle vignette.
Omar non è un integralista. Quindi dovrebbe capirci. Capire che quello che per lui è un grave affronto alla religione, i danesi lo hanno fatto senza malizia, in omaggio al loro dogma (altrettanto religioso) che dice Libertà di Espressione a Ogni Costo. Dovrebbe tollerare le nostre idiosincrasie, Omar; la nostra necessità insopprimibile di dire cacca a Gesù e piscia a Maometto, come se fosse davvero satira, come se fosse almeno divertente.
Certo, se fosse gentile, educato, rispettoso delle culture diverse dalla sua, Omar dovrebbe reagire in questo modo.
Però tutta questa è solo melassa politically correct. Perché mai Omar dovrebbe essere gentile e rispettoso? È più povero di me. È meno educato di me. Non posso chiedergli un ragionamento più complesso di quello che faccio io. E se io sono così sciocco da pensare che la pubblicazione di una dozzina di volti di Maometto sia un momento fondamentale per la tutela della libertà d'espressione in Occidente, perché lui dovrebbe essere più furbo di me? Se io mi metto a dire "Tutto sommato ha ragione la Fallaci", perché lui non dovrebbe nel frattempo articolare un "Tutto sommato ha ragione Bin Laden"?
Il resto lo fanno i gruppi organizzati. Nel caso della Palestina, è evidente il desiderio di Hamas di mostrare i muscoli. Ma è possibile che in certi casi siano stati arabi qualunque, come Omar, a scendere in strada e riagganciare gli integralisti. Del resto queste sono solo congetture. Come si comportino davvero gli arabi, non lo so (Lia ne sa di più).

Credo però che non possano essere molto più furbi di noi. E noi, in questa banale storia di provocazione antislamica (a quasi vent'anni dalla fatwa a Rushdie: come se certe cose non le sapessimo), siamo stati molto stupidi. Poi, naturalmente, esiste l'integralismo, il fondamentalismo, esiste l'Odio, esiste il Male. Ma per favore, teniamo in debito conto anche la Stupidità.
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